Avv. Luigi Parenti di Roma: «Nel licenziamento per cessata attività è irrilevante che il negozio sia rimasto aperto per qualche giorno»

Secondo le stime della Confesercenti, l’impatto negativo dell’emergenza sanitaria, complici la crisi dei consumi e la crescita delle vendite online, ha messo a rischio di chiusura circa 70 mila attività commerciali nel solo anno in corso.

«L’emergenza sanitaria non ha causato soltanto la cessazione di molte attività, ma ha provocato anche un consequenziale aumento dei licenziamenti, alcuni anche illegittimi», esordisce l’avvocato Luigi Parenti, patrocinante in Cassazione e a capo di uno storico studio legale di Roma e di una sede a Milano, con attività di assistenza legale in ogni ambito del diritto, sia civile sia penale.

Il caso relativo al licenziamento di una donna per la cessazione di attività di un negozio di giocattoli è però emblematico. La lavoratrice, infatti, aveva impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, considerandolo infondato e dichiarando che alcuni colleghi erano comunque rimasti in servizio nel periodo successivo per terminare l’inventario.

«La dipendente aveva denunciato il comportamento della titolare del negozio che l’aveva licenziata prima che l’attività cessasse del tutto – spiega l’avv. Parenti -. Con il ricorso in Cassazione la lavoratrice lamentava che l’attività del negozio sarebbe proseguita per qualche giorno e che alcuni lavoratori si fossero occupati dell’inventario. Tuttavia, secondo i Giudici il ricorso è risultato infondato e il licenziamento legittimo (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 9820/21 del 14 aprile). Infatti, la Suprema Corte ritiene che le attività di inventario non siano riconducibili ad “attività tipica dell’esercizio commerciale”. In relazione al fatto che la ditta è rimasta iscritta al registro delle imprese i Giudici hanno ribattuto che, “accertata la totale cessazione dell’attività imprenditoriale da parte del datore di lavoro”, la legittimità del licenziamento “non è esclusa né dal fatto che lo stabilimento sede dell’impresa non sia stato immediatamente alienato o altrimenti dismesso, rimanendo però nella disponibilità dell’imprenditore come mera entità non funzionante, né dal fatto che uno o pochi altri dipendenti siano stati mantenuti in servizio per il compimento delle pratiche relative alla cessazione”».

Approdata all’attenzione della Corte di Cassazione, quindi, gli Ermellini hanno ritenuto legittimo il recesso datoriale, confermando di fatto quanto già stabilito dai giudici: «È importante ricordare, infine, – conclude l’avv. Parenti – che “nel quadro della libertà d’iniziativa economica riconosciuta dalla Costituzione” le ragioni dei licenziamenti dovuti a cessazione dell’attività non sono sindacabili».

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