L’ISTAT ha divulgato il bollettino sulla natalità e fecondità della popolazione residente per l’anno 2020 e i dati sono tutt’altro che positivi. Nel 2020 sono nati 404.892 bambini, circa quindicimila in meno rispetto al 2019 con un calo accentuato nei mesi di novembre e dicembre, quando si è iniziato a vedere l’effetto della pandemia sulla decisione di mettere al mondo figli. La situazione non è affatto migliorata nel 2021: i dati provvisori riferiti al periodo fra gennaio e settembre parlano di un calo di 12.500 unità rispetto allo stesso periodo del 2020. Rispetto al 2008 si registrano 171.767 figli in meno, un’enormità.
Nel 2020 il Tasso di Fecondità Totale è stato di 1,24 figli per donna nel 2020, addirittura 1,17 se prendiamo in considerazione soltanto le italiane. Si tratta di un valore largamente al di sotto della soglia di rimpiazzo, cioè 2,1. Il calo è attribuibile in larga parte alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani, circa 163mila in meno rispetto al 2008, ma diminuiscono anche le coppie di nazionalità mista. Questa situazione è dovuta anche alla struttura per età della popolazione italiana, con la generazione del baby boom degli anni sessanta ormai fuori dall’età feconda. Come risultato, il saldo tra nascite e morti nel 2020 è stato di -362.507: come fosse sparita una città delle dimensioni di Firenze.
In media la popolazione è calata dello 0,7% ma al Sud è stata dell’1,2 e nelle Isole dell’1%. In Molise (-2,1%), Calabria (-1,8%) e Campania (-1,5%) le diminuzioni più forti. L’età media è salita a 45,4 anni ma alcune regioni, Liguria in testa, marciano ormai verso i 50 anni. Per ogni bambino sotto i 6 anni si contano 5,1 anziani sopra i 65. Sono dati drammatici che devono far riflettere e condurre a provvedimenti drastici in grado di produrre cambiamenti strutturali. Se non si interviene per mitigare l’inverno demografico, nei prossimi decenni l’Italia rischia un collasso socio-economico che neppure l’immigrazione potrà scongiurare.