Raffaella Deamici, Milano: «Il disagio degli adolescenti aumenta: ecco i segnali da non sottovalutare»

Nuove generazioni sempre più sofferenti: dalle stime degli istituti di ricerca, crescono in modo esponenziale il malessere, la chiusura in se stessi, i disturbi alimentari e il rischio suicidario nei più giovani.

«Sia in qualità di psicoterapeuta nel mio studio privato e sia nella mia attività nelle scuole, colgo questo disagio profondo che non sempre viene compreso dai genitori o dai professori.

È come se adulto e adolescente parlassero due lingue molto diverse che generano una comunicazione distorta da ambo le parti: il risultato è una chiusura del giovane che vive un malessere profondo da cui non riesce, da solo, a uscire, e a volte la costruzione di un muro, più o meno alto e resistente, da parte dell’adulto», spiega Raffaella Deamici, psicologa psicoterapeuta di Milano, titolare di uno studio privato e collaboratrice di Ats, Università e scuole superiori milanesi dove si divide tra l’attività allo sportello d’ascolto psicologico e l’intervento all’interno delle classi.

In un periodo in cui il disagio adolescenziale è aumentato notevolmente, fondamentale è non ignorare certi segnali: «Sintomi psicosomatici, attacchi di panico, di pianto, mal di testa o di pancia, fatica ad alzarsi dal letto, se sono lievi e sporadici possono essere normali e fisiologici. Quando, invece, l’adolescente cronicizza quegli atteggiamenti o si chiude in sé per troppo tempo dobbiamo iniziare a farci domande. La soluzione non è mai sminuire il malessere del giovane nel momento in cui lo dichiara seppur con un filo di voce o tartassarlo di domande, ma credergli e cercare di capire senza arrabbiarsi o assumere atteggiamenti troppo severi e poco comprensivi che possono ‘annientare’ un Io molto fragile in formazione. A volte basta stargli a fianco, anche in silenzio, e far sentire che siamo interessati a lui: l’adolescente, infatti, ha bisogno di sentirsi pensato e amato. Anche perché questi comportamenti, se portati all’eccesso, possono essere campanelli d’allarme da non sottovalutare in quanto ci dicono che il malessere sta esplodendo, che l’accumulo di esperienze, emozioni e traumi non elaborati sono pronti a deflagrare».

Secondo la dottoressa Deamici un modo per colmare questo divario e consentire ad adulti e adolescenti di andarsi incontro reciprocamente potrebbe essere un “dizionario” ad hoc per decifrare certi atteggiamenti complessi o “a rischio”: «Un dizionario ideale, cioè, che traduca e dia senso ad alcuni comportamenti di adolescenti e adulti, per capirsi, per tradurre parole e gesti, per comprendere il limite tra una condotta fisiologica e qualcosa di più preoccupante. Questa sorta di decodifica aiuterebbe, ad esempio, i genitori a capire quanto sia fondamentale prestare sempre attenzione alle parole e agli atteggiamenti dei figli dando il giusto peso al loro malessere, senza essere troppo rigidi e severi e abbandonando quel piglio giudicante o accusatorio che fa tanto male ai giovani. Da parte loro, gli adolescenti dovrebbero sempre aver chiaro che  i genitori o i professori desiderano il loro bene e benché a volte agiscano con severità sono comunque lì, in loro aiuto».

Se, anche adottando atteggiamenti di apertura, i genitori o gli insegnanti non riuscissero a tradurre questi comportamenti ecco che l’intervento dello psicoterapeuta presente a scuola o nello studio privato si rivela necessario e, anzi, auspicabile. «È importante farsi aiutare a decifrare i comportamenti degli adolescenti: per mia esperienza gli incontri con un professionista possono essere molto proficui in quanto lo psicoterapeuta è una figura al di fuori della famiglia che sa tradurre e gestire, a volte in pochi incontri, questa incomunicabilità. Fare da tramite permette di sviscerare i problemi con i modi appropriati e le parole “giuste” per trovare una soluzione, avvicinare le due parti e trovare una modalità adeguata per parlarsi e comunicarsi, evitando che questa “bolla” scura in cui tanti adolescenti vivono non si trasformi in una prigione da cui è molto difficile uscire».

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