Pesce fresco: la pandemia ne ha aumentato il consumo

Nell’ultimo anno e mezzo, quello della pandemia, abbiamo mangiato più pesce fresco. Così come pesce affumicato. La fotografia è dell’Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, che presenterà i risultati di questa indagine durante Slow Fish.

Le costrizioni a rimanere a casa – con la chiusura dei ristoranti – hanno portato a un aumento del consumo domestico e al fenomeno dell’accaparramento dei prodotti di prima necessità. Questo è successo durante la prima ondata di covid, nella seconda la situazione si è quasi normalizzata.

“Nel trimestre marzo – maggio l’aumento del valore degli acquisti è stata a doppia cifra, superando in alcune settimane di marzo addirittura il 20 per cento. Con l’allentamento delle misure nell’estate del 2020, l’andamento degli acquisti si è riavvicinato ai valori del 2019 per poi ricominciare a correre verso l’autunno” è scritto nel report.

Secondo i dati Nielsen ConsumerPanel, una famiglia italiana tipo nel 2020 ha comprato circa 21 chili di prodotti ittici per i pasti dentro le mura di casa. A un consumo medio di 15 chili nelle famiglie con componenti under 30, hanno corrisposto consumi di oltre 30 chili per le coppie over 65. Il luogo più gettonato per acquistare resta il supermercato: su 21 chili medi di acquisti l’anno da ciascuna famiglia, più di otto provengono dai supermarket, 5,5 dagli ipermercati, poco più di tre dai discount e solo 3,6 dalle pescherie.

“I dati di Ismea accentuano alcune tendenze che hanno effetti concreti e purtroppo negativi sugli ecosistemi acquatici e sulla comunità della piccola pesca – dice Roberto Di Lernia, biologo di Slow Food Milano e cofondatore del progetto ‘Blue Food: Green Future’ – il consumo di tonno in scatola, per esempio, spesso dipende più dal basso costo che la grande distribuzione è in grado di offrire che non dalla consapevolezza del consumatore, da una lettura attenta delle etichette o dall’indice di gradimento vero e proprio. In fondo, ci abituiamo a ciò che consumiamo solitamente, e anche il palato si adegua alle nostre necessità economiche”.

Nel programma digitale di Slow Fish, sono stati organizzati tre webinar in cui sono state messe a confronto sei città italiane diverse per tipologia di mercato del pesce, per provenienza e modalità di approvvigionamento, per abitudini di acquisto e consumo. Dice Di Lernia: “Abbiamo constatato che la comprensione dei prodotti ittici che vengono consumati è spesso inibita da quello che realmente ci si trova a consumare”.

Ecco alcuni esempi: “A Genova, terra di navigatori e di mercanti, la pesca è artigianale e di sussistenza. Qui, il pesce povero (ma buono), come l’acciuga, era e continua a essere la principale risorsa. Il buono, pulito e giusto in città come Milano – covid o non covid – è difficile da percepire. Nonostante ci sia un grande consumo di pesce, qui la pandemia non ha fatto altro che allontanare il consumatore e la sostenibilità. A Venezia, il viaggio parte dall’oceano e arriva in laguna. La vendita avviene attraverso negozi e mercati di quartiere dove oltre al pesce locale, troviamo ancora specie atlantiche come spada, tonno e granseola, la cui richiesta resta costante. A Palermo il sushi è probabilmente un di più legato a un’abitudine modaiola, visto che come in tutte le regioni del Sud, anche qui si consuma abitualmente pesce crudo delle specie locali”.

Il 2020 ha visto il boom nell’acquisto online di generi alimentari (+117 per cento). Per il comparto ittico, il bilancio a fine anno è positivo in tutte le categorie, anche se nel complesso inferiore alla media del totale agroalimentare. I mancati introiti Horeca non sono stati insomma compensati dai consumi domestici. Secondo il report sull’Andamento dell’economia agricola nel 2020, reso noto dall’Istat, il settore ha visto il ridimensionamento sia della produzione (-8,8 per cento) che del valore aggiunto (-5,3 per cento). Se la pesca costiera ha potuto dare un po’ di tregua alla biodiversità delle coste mediterranee, mettendo però in ulteriore crisi i pescatori, non si può dire la stessa cosa di quella industriale, visto l’aumento nell’acquisto di prodotti confezionati.

Exit mobile version