Assocalzaturifici: niente ripresa nel 2021

La moda non si riprenderà entro la fine del 2021 perché è ancora nel mezzo della crisi. All’interno della filiera, il comparto del calzaturiero è uno di quelli che hanno sofferto di più. Come confermato da Assocalzaturifici, l’associazione di categoria che aderisce a Confindustria Moda.

Al Sole24Ore, il presidente Siro Badon, dice: “La situazione è oltre la soglia critica. Il nostro è un settore che lavora sulla produzione dell’anno successivo con una marcata stagionalità ed enormi costi fissi e di manodopera. Siamo pertanto già certi di un 2021 disastroso e la verità è che senza misure forti e specifiche, purtroppo ci saranno molti posti di lavoro a rischio e chiusure aziendali appena finirà il periodo di blocco dei licenziamenti. Stimiamo siano a rischio migliaia di posti di lavoro, a cui dovremo inevitabilmente sommare quelli dell’indotto e nella filiera a monte”.

Nel 2020 è andato in fumo un quarto della produzione nazionale (-27,1 per cento in quantità) e del fatturato totale (-25,2 per cento). Ribassi nell’interscambio commerciale: -18 per cento al volume, così come nei consumi interni: -23 per cento in spesa, nonostante un +17 per cento per l’online, più il crollo dello shopping mancante dei turisti. Se nel secondo e nel terzo trimestre del 2020 c’era stato un modesto rialzo, la seconda ondata del virus in autunno ha causato, nel trimestre conclusivo, in particolare per export e consumi, di nuovo un forte calo. Nel 2020 174 mila calzaturifici hanno chiuso le serrande rispetto al 2019, sono calati di 3 mila unità gli addetti (-4 per cento per entrambi). Nella filiera pelle, sono state autorizzate quasi 83 milioni di ore di cassa integrazione guadagni, contro gli 8,3 milioni del 2019.

Da qui le richieste al Governo, come sintetizza sempre Badon: “Abbiamo bisogno che il Governo ci dia certezze. È necessario che i negozi possano aprire con continuità perché la stagionalità non ci consente di recuperare sui costi di produzione. Gli stock a magazzino, accumulatisi con l’invenduto, e gli ordini non confermati, si svalutano compromettendo i bilanci delle aziende. Con una filiera in ginocchio non riusciamo a comprendere le ragioni perché di alcuni prodotti sia consentita la vendita permanente e per le calzature vi sia una esclusione”. Alla luce delle perdite (quattro stagioni di vendita, di fatto), “è necessario che venga rivisto il criterio con cui si indennizzano le aziende – aggiunge Badon – parametrando i sostegni alle perdite subite calcolate in base ai fatturati a cui devono essere sottratti i costi fissi non compensati dai ristori. Tale sistema sosterrebbe maggiormente le imprese ad alta intensità di occupazione e che maggiormente necessitano di essere sostenute, come quelle calzaturiere”.

Assocalzaturifici spera in una decontribuzione per tutto il Paese del 30 per cento di oneri previdenziali dovuti dal datore di lavoro (come da Decreto agosto per le regioni del Sud), nonché una rapida approvazione dei decreti attuativi del Decreto rilancio, che introduce un credito d’imposta del 30 per cento del valore delle rimanenze in magazzino.

Ci sono poi le politiche di sostegno all’export. “Le fiere sono un asset essenziale per le Pmi. Ritardare o impedirne l’apertura equivale ad ostacolare la ripresa degli scambi internazionali e la promozione del made in Italy, fondamentale per il rilancio del nostro settore” conclude Badon, ricordando che “ci sono Paesi nostri competitor che non hanno interrotto l’attività fieristica e non hanno subito alcuna impennata nei contagi”.

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