Confindustria Umbria: la relazione del presidente Alunni

Oggi si è svolta l’assemblea pubblica di Confindustria Umbria con la relazione del presidente Antonio Alunni. Ecco alcuni stralci delle parole del numero uno della confederazione regionale degli industriali.

“Questa Assemblea di Confindustria Umbria si tiene oggi in tempi eccezionali. Ai tempi eccezionali, abbiamo deciso di rispondere con modalità eccezionali. Le nostre Assemblee sono state da sempre aperte a molti protagonisti della vita istituzionale ed economica della nostra Regione. Oggi abbiamo deciso di aprire la nostra Assemblea a tutti i cittadini dell’Umbria. Perché in tempi come questi vogliamo che sia chiaro che Confindustria Umbria vuole agire per il bene comune di tutti, non solo per i legittimi interessi dei propri associati”.

“La pandemia ci obbliga a ripensare molte cose che avevamo date per certe o per acquisite. Il momento di farlo è adesso, non quando sarà passata. Perché è nei tempi di crisi che si deve progettare il dopo. Se si attende la fine della crisi – e questa non è una crisi: è una tragedia – non si hanno più le forze morali pienamente adeguate a farlo. Dobbiamo farlo adesso, che queste forze morali le abbiamo ancora vigorose. Per Luigi Einaudi, figura particolarmente cara a noi imprenditori, grande economista e primo presidente della Repubblica Italiana, la crisi del 1929, che era stata la vera origine della Seconda guerra mondiale, era stata una crisi morale, che si era poi trasformata in una crisi economica. Una crisi determinata dalla mancanza di regole, preceduta da una espansione incontrollata della finanza. Non dobbiamo mai dimenticare che la crisi presente si innesta su di una crisi economico-finanziaria che nasce nel 2008, e che non è stata mai davvero superata. Non lo è stata in particolare dall’Italia, che dopo più di un decennio non è riuscita a tornare agli stessi livelli di allora”.

“Una crisi che non ha ragioni nell’economia reale, perché il capitalismo non ha mai visto una crisi che è intervenuta in un momento di grandi progressi tecnologici, come quelli avvenuti dall’inizio del secolo, con l’introduzione massiva degli strumenti informatici, dell’Intelligenza Artificiale per l’automatizzazione delle fabbriche, di Internet. La crisi odierna è stata certamente determinata da un disastro naturale, quale è la pandemia. La pandemia ha generato, o piuttosto ha accentuato, una crisi economica”.

“Il maggior pericolo per tutto il mondo avanzato è adesso che questa crisi economica generi una crisi morale. Vi sono purtroppo segni molto concreti di questo. È illusorio credere che la crisi scomparirà grazie all’aumento senza confini del debito pubblico. È illusorio credere che l’unico modo per uscire dalla crisi sia quello di separare a lungo, e magari definitivamente, il reddito di ogni persona dal suo contributo reale al processo economico o sia quello del ritorno allo Stato imprenditore su larga scala”.

Palla allo Stato: “Vi sono modi diversi con i quali la mano pubblica può intervenire. Vi è un modo conforme ai principi di una economia di mercato. Questo significa che l’intervento della mano pubblica deve essere guidato da alcuni principi fondamentali. In primo luogo, quello della reversibilità della sua azione. Ogni intervento deve essere tale che, finita la crisi, i mercati tornino al loro equilibrio naturale, ovvero quello che deriva dalla logica dell’offerta e della domanda, e dalla logica degli investimenti privati. In secondo luogo, gli interventi della mano pubblica non devono alterare, o devono alterare il meno possibile, il peso relativo che i diversi settori economici avevano prima della crisi. In terzo luogo, ogni intervento non deve perseguire un effetto redistributivo che depauperi alcune aziende o tipi di aziende. Le risorse necessarie per perseguire finalità sociali di emergenza devono essere reperite attraverso la tassazione generale, opportunamente rimodulata”.

“Purtroppo, è evidente come questi tre principi siano largamente violati in molte delle azioni che il Governo ha assunto sin dall’inizio della pandemia. Particolarmente preoccupante è l’espansione della mano pubblica nella proprietà delle aziende. Una espansione che, differentemente da quanto è avvenuto e avviene in altri Paesi crea le condizioni per far risorgere strutturalmente uno “Stato imprenditore”. Come se decenni di esperienza su cosa questo abbia significato di negativo per la produzione di ricchezza venissero di colpo cancellati. La realtà è che dietro questa espansione non c’è solo uno stato di necessità mal gestito. C’è l’evidente rischio del ritorno a una precisa ideologia statalista che credevamo finita per sempre. Come industriali, come imprenditori, abbiamo il dovere di opporci a tutto questo. Abbiamo il dovere di farlo con tutta la responsabilità che abbiamo come produttori della gran parte della ricchezza di questo Paese”.

“In questa crisi vi è però una certezza. La certezza è che l’industria è il solo settore che abbia resistito e resista alla pandemia. La ricchezza prodotta dall’industria è oggi il vero asse di resistenza del nostro Pil. È dall’industria che viene una occupazione non precaria. È dalla ricchezza prodotta dall’industria che vengono le risorse pubbliche necessarie per mantenere i beni pubblici e sostenere settori produttivi in crisi. Stiamo facendo la nostra parte, e la faremo. Credo sia doveroso che questo nostro ruolo ci sia pienamente riconosciuto”.

“Parlare di innovazione oggi, quando davanti alla pandemia tutti cercano di salvaguardare quello che hanno, potrebbe sembrare incongruo. Ma non lo è. Perché non riusciremo, come industriali e come sistema economico in generale, a salvaguardare quello che abbiamo se fin da adesso non gettiamo le basi e non operiamo per una forte innovazione. La battaglia per il futuro si vince solo guardando avanti”.

“Voglio sottolineare due tipi di azioni. La prima è quella di favorire, nei nostri territori, la formazione di una nuova classe dirigente responsabile, che capisca profondamente i principi dell’economia moderna e dei mercati nella quale essa si realizza. Troppe volte le posizioni anti-industriali derivano semplicemente dal fatto che non si conoscono questi principi. Lo possiamo fare organizzando corsi di formazione, incontri, scambi. In un modo pienamente collaborativo, e mai di contrapposizione. La seconda è quella di aiutare le pubbliche amministrazioni a svolgere meglio il loro ruolo. Oggi le pubbliche amministrazioni hanno una carenza strutturale di personale tecnico. Ed è questa una delle principali ragioni per le quali gli investimenti pubblici, quelli necessari per la qualità della vita come per lo sviluppo economico, non vengono realizzati, anche quando vi sono le risorse. Le nostre aziende dispongono di un formidabile capitale umano di tecnici di alto livello, dagli ingegneri agli economisti. Mettiamoci a disposizione delle pubbliche amministrazioni dei nostri territori. In modo non invasivo, e sempre rispettoso della sfera di autonomia che esse devono
avere”.

“Uno dei settori dove questa azione si può meglio svolgere è la scuola e la formazione professionale. Ovunque è avvenuto, il livello formativo è cresciuto in modo del tutto significativo. Con il risultato che la disoccupazione giovanile è diminuita, perché si sono formati giovani di alto capitale umano, subito richiesti dalle aziende. Dobbiamo fare di più. Possiamo fare di più. Per svolgere il loro lavoro, gli imprenditori, e in particolare gli industriali, devono poter operare in un quadro legislativo e regolamentativo che favorisca la creazione di ricchezza, e non la ostacoli. Devono potersi rivolgere ad una macchina burocratica efficiente e veloce nelle sue decisioni. Quello che noi vogliamo sono regole che siano alla pari di quelle di Paesi come la Germania o l’Austria. Noi non vogliamo meno Stato né vogliamo meno pubblica amministrazione. Perché lo Stato e la pubblica amministrazione sono indispensabili per produrre quei beni pubblici che fanno la qualità della nostra vita, e che producono quel capitale umano e sociale senza il quale non vi sarebbe l’industria. Noi vogliamo uno Stato migliore, noi vogliamo una pubblica amministrazione migliore”.

“Oggi siamo davanti ad una crisi morale. Uno dei modi in cui si manifesta è il fatto che l’idea di un progresso continuo della società è andata a svanire. Le generazioni presenti hanno paura del futuro. I figli pensano che non riusciranno ad avere non solo un livello di vita migliore dei loro padri e madri, ma neanche un livello di vita eguale. La vera tragedia è che questi sentimenti si stanno diffondendo e sono considerati come una cosa buona e giusta. Lo testimonia l’ideologia della “decrescita felice”. Una ideologia non solo sbagliata, ma contraria ai principi dello sviluppo civile e sociale”.

“L’industria è il testimone morale del progresso. È nostro compito ricordare questa verità a tutto il Paese, a tutti i cittadini. Perché l’Italia deve e può ritrovare quell’afflato verso il progresso e la crescita che l’hanno portata, dopo la tragedia della guerra, a diventare un Paese più prospero, più civile, più colto. Questo è il tempo delle decisioni. Noi industriali prendiamo decisioni ogni giorno. Dalla loro correttezza dipende l’esistenza stessa delle nostre aziende. Oggi dobbiamo prendere decisioni eccezionali per tempi eccezionali. Siamo pronti a rischiare le nostre risorse per il futuro delle nostre aziende. Chiediamo che anche il mondo delle istituzioni, a partire dalla nostra Regione, prenda le decisioni che gli competono. Non in una logica di ricerca del consenso a breve periodo, ma nella logica di perseguire il bene comune di questa e delle generazioni future”.

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