Nel campo della rigenerazione tendinea gli studi hanno fatto passi da giganti, permettendo di ristabilire la mobilità del paziente anche in caso di una nuova rottura della cuffia dei rotatori cosiddetta recidiva, senza la necessità di rivolgersi all’utilizzo di protesi articolari e quindi ad interventi maggiormente invasivi. Tra gli esperti del settore che hanno applicato per primi in Italia questa nuova tecnica c’è il dottor Francesco Raffelini, medico chirurgo specialista nel campo dell’Ortopedia e della Traumatologia a Firenze e a Genova.
“L’obiettivo chirurgico nella riparazione tendinea della cuffia dei rotatori è la guarigione anatomica; il problema presente a livello scientifico da circa dieci anni, ma che negli ultimi cinque anni si è ulteriormente approfondito, è legato alla nuova rottura della cuffia dei rotatori detta recidiva presente secondo le ultime ricerche tra l’11% e il 57% di tutte le cuffie dei rotatori riparate. Tale situazione spesso è causata da molti fattori quali l’età del paziente, la dimensione della rottura e la qualità tendinea: quest’ultima peggiora in pazienti che hanno più di 65 anni. Esiste, però, una nuova tipologia di riparazione artroscopica del tendine, che non solo favorisce la guarigione clinica del paziente ma anche la rigenerazione anatomica del tendine, eliminando il problema della cicatrizzazione dello stesso che provoca la formazione di un tessuto fibroso di scarsa qualità. Dal punto di vista chirurgico sappiamo, ormai da anni, riparare in maniera perfetta il danno ma la vera sfida oggi è legata alla capacità di intervenire a livello biologico in quella fascia di popolazione meno giovane ma ad alta richiesta funzionale e sportiva”.
Come riportato dallo stesso dottor Raffelini, si è visto che sopra ai 65 anni una nuova rottura della cuffia dei rotatori si verifica in media nel 43% dei pazienti già operati; questi devono necessariamente sottoporsi a un nuovo intervento per risolvere il problema, causando così una ulteriore formazione di materiale fibroso all’interno del tendine frutto di una nuova cicatrice. Inoltre si è visto come sia importante scegliere un mezzo di ancoraggio efficace, capace di agevolare il ripristino del funzionamento del tendine.
“A forza di studiare i potenziali interventi a livello biochimico e molecolare, si è capito come la guarigione biologica di una rottura tendinea avvenga attraverso la formazione di una cicatrice transitoria di collagene tipo 3 che viene via via sostituita con il “rimodellamento “ in collagene di tipo 1, ad alte prestazioni viscoelastiche e più nobile oltre che essere il costituente base del tendine sano: il problema è facilitare il rimodellamento e indurlo alla trasformazione in tipo 1 il più rapidamente possibile. Ma non si deve solo intervenire a livello di collagene, ma anche sugli elementi di fissaggio del tendine all’osso. Fino a qualche anno fa si utilizzavano miniviti cosiddette “piene”, da qualche anno si utilizza, invece, una tipologia di minivite ad elica quindi “vuota”, che permette al sangue di irrorare maggiormente il tendine nel punto di fissaggio all’osso stesso favorendone la guarigione. Non a caso, infatti, le rotture tendinee ad esempio quelle dell’Achille, si hanno solitamente nella parte centrale del tendine, dove il sangue fluisce in bassa quantità e il tessuto si logora più facilmente. Con questi interventi si riesce a perseguire lo scopo a pieno beneficio dei pazienti”.
Grazie agli studi portati avanti in Europa e tecnicamente testati in Australia ed America con i risultati pubblicati a due anni e follow up fino a 5 anni, oggi si dispone di uno scaffold bioinduttivo od impianto collagenico di tipo 1 di origine animale, purificato e deantigenizzato, ad alta porosità che viene appoggiato al di sopra del tendine come una coperta per proteggerlo e ispessirlo. In questo modo non solo ripariamo il tendine ma rinsaldiamo la ferita favorendo la guarigione originaria.
“Ci sono voluti cinque anni di studi in America ed in Australia – afferma il dottor Raffelini – e ad oggi possiamo contare su diversi studi americani ed australiani, alcuni in via di pubblicazione per valutarne le potenzialità. Da giugno 2020 questa nuova tecnologica, nota come ‘Regeneten’, è arrivata in Italia e io ho avuto la possibilità di utilizzarla in anteprima su ben due pazienti. Con un intervento chirurgico in artroscopia è possibile intervenire sul paziente in modo risolutivo e funzionale: grazie all’impianto di questo scaffold la rigenerazione del tendine è rapida ed efficace già nei primi tre mesi. Personalmente sono intervenuto su una donna di 58 anni, in forma smagliante, che ha fatto per tutta la vita la free climber: dopo un intervento subito 12 anni fa per la rottura della cuffia dei rotatori della spalla, un nuovo trauma ha causato una seconda rottura sullo stesso punto. Con questa tecnica la cuffia dei rotatori della spalla è stata riparata in modo anatomico con tecnica artroscopica e con una rapida guarigione. Stesso caso per la risoluzione della recidiva sempre traumatica di rottura della cuffia dei rotatori della spalla di un Vigile del Fuoco di 57 anni. Inoltre grazie anche all’uso di cellule mesenchimali concentrate autologhe prese dalla cresta iliaca e inserite alla fine dell’intervento, si è facilitata la guarigione e ottimizzato l’intervento stesso”.
La chirurgia rigenerativa di alto profilo e di maggiore complessità come questa, paradossalmente sta uscendo dai radar dell’assistenza sanitaria pubblica per gli alti costi che comporta.
“Questo lento abbandono della chirurgia artroscopica di alto livello e maggiore complessità ai fini del rimborso pubblico non mi fa sperare bene – conclude il dottor Raffelini Francesco – ma nel comitato nazione della chirurgia della spalla all’interno della SIAGASCOT stiamo cercando di diffondere le potenzialità di questa tecnica, raccogliendo anche i frutti di quattro diversi studi nazionali, che da nord a sud stanno funzionando, permettendo di avere nuovi dati su protesi inverse, capsuliti, lussazioni e lassità della spalla. Bisogna cercare di essere sempre più appassionati alla chirurgia di questo tipo, spostare sempre un poco più in la l’asticella e non accontentarsi del solito tran tran perché solo così si possono superare le difficoltà evidenti per il raggiungimento del benessere dei pazienti nostro unico obiettivo e fine”.