Agricoltura in Liguria: tutti i numeri

Agricoltura

È stato reso noto il rapporto ‘L’agricoltura nella Liguria in cifre 2020’, fatto dal Centro di politiche e bioeconomia del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Si tratta di uno strumento utile per gli agricoltori, naturalmente, ma anche per i rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole, per tecnici e professionisti, amministratori, consumatori e cittadini.

La Liguria ha una popolazione pari a poco più di 1,5 milioni di abitanti, di cui quasi il 9% di origine straniera. Il territorio regionale è densamente abitato: quasi 290 abitanti per kmq, per lo più presenti nella città metropolitana di Genova, ente territoriale di area vasta che ospita il 54% della popolazione ligure, mentre nel solo capoluogo regionale risiedono circa 580.000 persone. L’indice che rapporta la popolazione residente alla superficie agricola assume un valore circa sette volte superiore alla media italiana e oltre dieci volte superiore rispetto a quella europea.

La Superficie agricola utilizzata (Sau) nel 2018 era pari a 38 mila ettari, -8 per cento rispetto ai dati Istat del 2013. Riduzione più forte per gli orti familiari (-44 per cento), poi colture legnose (-16 per cento), seminativi (-10 per cento). Per le foraggere permanenti la diminuzione è meno forte, -3 per cento.

Il numero di occupati nell’agricoltura è diminuito del 10 per cento. Le persone impiegate in agricoltura sono poco più di 7.660, l’1,3 per cento di tutti i lavoratori regionali. In un decennio, questa percentuale si è praticamente dimezzata contro un dato nazionale che resta pressoché immutato. I dati Inps presentano la manodopera agricola composta per la maggioranza da lavoratori stranieri (56 per cento), che trovano occupazione prevalentemente nel Ponente ligure (imprese orto-florovivaistiche); nel resto della Liguria, la gran parte della manodopera straniera lavora in aziende specializzate in orticoltura, olivicoltura e viticultura.

Il cambiamento climatico e la conformazione del territorio non aiutano il settore agricolo, in Liguria. I venti forti hanno danneggiato serre e tunnel per le colture ortofloricole nel Ponente ligure e il basilico in provincia di Genova. Problemi anche per l’olivicoltura, già in fase avanzata di raccolta. Il caldo anomalo del 2018 non ha pregiudicato la vendemmia e ha anche contribuito a combattere e a ridurre gli attacchi di mosca olearia. Danni contenuti nell’ortofloricolo grazie alla disponibilità di acque irrigue derivanti dalle forti piogge primaverili. Compromessa invece la produzione mellifera.

Il 2018, in generale, ha visto aumentare la produzione di cereali e formaggi, invariato il quantitativo di ortive in pieno campo e in serra, fatta eccezione per il pomodoro in pieno campo, che ha perso il 26 per cento nel raccolto. Forte diminuzione della resa dell’olivo, così come della viticoltura (-6 per cento); il vigneto in produzione, stimato in 1.623 ettari, è andato incontro a un fortissimo ridimensionamento rispetto all’anno prima. Forte aumento di superficie per i pascoli magri (+30 per cento). Aumentata del 29 per cento la produzione del latte vaccino, quello di capra del 21 per cento. Sono diminuite le macellazioni, seguendo l’andamento del 2017. Per fiori e piante in vaso è ascrivibile oltre il 62 per cento del valore delle produzioni agricole liguri, +1,2% in un anno. Resta invariata la quota di produzione agricola relativa alla vite, pur in presenza di una diminuzione dell’uva raccolta, compensata dall’aumento dei prezzi. Lieve diminuzione per il preso dei prodotti zootecnici, in particolare a causa delle scarse produzioni di carne. Meno un punto percentuale e più per le produzioni di olive. Nel complesso, il valore dei beni e dei servizi dell’agricoltura ligure nel 2018 è stimato dall’Istat in circa 552 milioni di euro: è quindi rimasto pressoché invariato rispetto all’anno precedente (-0,7%).

In Liguria la spesa per sementi e piantine è quasi tre volte superiore alla media nazionale, così come è molto alta quella per l’energia motrice, oltretutto in aumento di oltre il 2% rispetto al 2017. Pure la spesa per i mangimi e gli alimenti per il bestiame, anche se molto inferiore alla media nazionale, è assai elevata, ma in calo di circa 2 punti percentuali, essendo diminuite nel 2018 le difficoltà di auto-approvvigionamento dei foraggi.

Il volume degli investimenti fissi lordi nel settore dell’agricoltura, selvicoltura e pesca si è attestato nel 2017 attorno ai 160 milioni di euro, riportandosi quindi ai valori del 2015, per via dell’esaurimento dell’effetto propulsivo generato dall’apertura dei primi bandi delle misure ad investimento del Psr 2014-2020. Anche il valore degli investimenti per occupato in agricoltura è diminuito di oltre il 9% a significare anche una diminuzione dell’investimento. Il medesimo indice, riferito ai servizi, è diminuito del 10% mentre quello riferito all’industria mostra un incremento dell’1% circa.

Nel 2018 in Liguria si contano 500 imbarcazioni da pesca, per lo più piccole imbarcazioni dalla stazza ridotta, come testimoniato dal valore del tonnellaggio lordo medio, che essendo di poco superiore alle 6 tonnellate è tra i più piccoli d’Italia: si tratta, infatti, per lo più di imbarcazioni dedite alla pesca con attrezzi da posta oppure che adottano sistemi misti. Nel complesso, il numero di natanti in Liguria è calato dell’1,2% rispetto al 2017; la diminuzione più rilevante è a carico degli attrezzi da posta, le cui fila si sono ridotte di tre unità, mentre rimane pressoché costante la flotta per tutte le altre tipologie di sistemi di pesca. Il naviglio ligure appare decisamente piccolo rispetto alle altre regioni italiane, sia come stock che come stazza e potenza totale. Il dato è significativo specie se si considera che, rispetto ad altre regioni con flotte più ridotte, la Liguria ha un’economia del mare assai sviluppata, potendo contare su 350 km di costa. Il volume degli sbarchi è molto ridotto: superiore solo a quello del Friuli Venezia Giulia e del Molise, il cui settore alieutico è però molto meno sviluppato rispetto a quello della Liguria. Infine, anche il valore unitario (euro/kg) degli sbarchi in Liguria è inferiore rispetto alla media italiana.

Nel 2018 il numero di imprese attive nel settore della pesca è diminuito di un ulteriore 2,8% rispetto al 2017 e tale variazione negativa ha interessato le società di persone e le imprese individuali (rispettivamente, -5,4% e -3,0%). Il numero delle società di capitale è rimasto invece invariato, così come quello delle “altre forme” che anzi è l’unico a mostrare un trend positivo nel periodo 2012-2018. È un segnale del progressivo passaggio a forme di gestione cooperativa dell’impresa che interessa il settore della pesca ligure. L’ittiturismo è un settore in continua crescita, grazie soprattutto al supporto del Fondo Europeo per la Pesca (FEP). In Liguria si contano 34 imprese di ittiturismo, per lo più concentrate nella città metropolitana di Genova. I dati sono in questo caso riferiti al 2019; rispetto al 2018, si registra una variazione positiva del numero di aziende, pari al 10% a livello regionale. L’incremento più consistente si è avuto in provincia di La Spezia, dove le imprese ittituristiche sono raddoppiate. Le attività di ristorazione costituiscono la forma di diversificazione più diffusa, seguita dall’ospitalità e dall’organizzazione di attività didattico-ricreative: in particolare, si assiste a un costante aumento delle strutture dedicate alla ristorazione (nel 2019, +11%) e dei posti letto, aumentati del 46% rispetto al 2018 grazie alle nuove attività avviate nel savonese.

In Liguria sono presenti 10 impianti di acquacoltura da ingrasso, tutti in acqua salata. Sette di questi, specializzati in mitilicoltura aperta, afferiscono allo storico polo produttivo del Golfo di La Spezia, mentre i pesci (spigole e orate) sono allevati nelle gabbie aperte degli impianti di Toirano, Lavagna e Portovenere. Rispetto ad altre regioni italiane, il potenziale produttivo ligure è ancora molto ridotto, ma la mitilicoltura del Golfo di La Spezia rappresenta un’attività tradizionale di grande rilevanza locale (vi lavorano 86 operatori).

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