“Avviata la Fase 2 mentre comincia a delinearsi l’entità dell’impatto economico di questa crisi dobbiamo iniziare a interrogarci sin da ora per costruire su basi più solide la ricostruzione della nostra economia”. Secondo Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, presidente e segretario regionale della Cna Sardegna,” la Sardegna dovrà ricominciare valorizzando uno dei settori più strategici, ovvero il turismo cogliendo fino in fondo le profonde trasformazioni e i bisogni nuovi che il covid 19 imporrà alla domanda e all’offerta turistica.
La pandemia assesterà un duro colpo al turismo low cost e di massa, orientando i flussi turistici verso destinazioni a bassa densità turistica dove trascorrere una vacanza sicura. Attrezziamoci ora – continuano Piras e Porcu per riconfigurare e potenziare la qualità e l’offerta del nostro sistema turistico.
La Sardegna è la meta ideale per cogliere le opportunità e i nuovi bisogni – che non svaniranno con il virus, erano già presenti e si rafforzeranno negli anni a venire ; può offrire ampi spazi , una natura incontaminata, centinaia di piccoli borghi: tutto questo può essere messo al servizio dei tanti turismi : esperienziale, storico culturale, sportivo, naturalistico, religioso, enogastronomico; Possiamo aumentare la competitività del nostro sistema potenziando e diversificando l’immagine del territorio in un’ottica di maggiore internazionalizzazione e destagionalizzazione superando i limiti un’offerta ancora troppo concentrata su “sole e mare.”
Per questo motivo il Centro studi della Cna sarda ha elaborato un dettagliato dossier che evidenzia i punti di debolezza del nostro sistema turistico ed elabora una serie di proposte e strategie per riconfigurare il sistema dell’offerta sui nuovi bisogni valorizzando i nuovi asset su cui puntare per attrare nuovi flussi turistici.
In questo report si analizzano le opportunità che lo straordinario patrimonio storico-culturale di cui dispone la nostra regione potrebbe offrire nell’attirare nuovi flussi di turismo internazionale.
Come è noto il modello di sviluppo turistico della Sardegna è caratterizzato dalla stagionalità, cioè dalla concentrazione degli arrivi in un arco di tempo limitato. Si tratta di un fattore di forte debolezza che limita le potenzialità del turismo e le sue capacità di incidere sullo sviluppo socio-economico del territorio.
- Per via della stagionalità le strutture ricettive sono sottoposte a picchi di attività/inattività che comportano enormi difficoltà nel reperimento di personale qualificato, rendendo problematico il mantenimento di standard qualitativi adeguati
- La stagionalità impatta pesantemente sull’occupazione, che diventa discontinua, ridimensionando la capacità del turismo di contrastare la disoccupazione giovanile e scoraggiando gli investimenti delle imprese nella formazione del personale
- da un punto di vista sociale la stagionalità non si oppone, anzi alimenta il fenomeno dell’emigrazione giovanile, in un contesto in cui l’invecchiamento della popolazione indebolisce il tessuto socio-economico e ne compromette le capacità imprenditoriali ed innovative.
- Vanno poi considerati i problemi che una stagionalità turistica spinta crea per le comunità locali, che durante i periodi di picco possono soffrire problemi di congestione (traffico, accesso al servizio pubblico, servizi commerciali, etc.) e un incremento indiscriminato dei prezzi.
- L’incremento della popolazione in periodi limitati dell’anno (popolazione flottante), inoltre, comporta uno stress sul territorio e sulle infrastrutture, mettendo a dura prova la capacità di carico delle destinazioni e dell’ambiente: erosione delle risorse naturali, smaltimento rifiuti, inquinamento, congestione stradale
Il turismo internazionale, destinato a riprendere dopo l’interruzione del 2020, è per definizione meno stagionale. Un terzo dei viaggiatori provenienti dai principali Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Polonia, Italia e Spagna) opta per una vacanza tra arte, storia e cultura, mentre sole e mare rappresenta la motivazione della vacanza per una quota minoritaria di turisti (dati Commissione Europea, Eurobarometer). Il turismo internazionale, tra l’altro, viene, in Sardegna, da un periodo particolarmente favorevole; secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia nel 2019 gli arrivi di viaggiatori stranieri in Sardegna sono stati ben 1,779 milioni, i pernottamenti compressivi quasi 13 milioni, per una spesa complessiva stimata in circa 1,12 miliardi, poco meno del 4% del Pil regionale. Nel confronto con gli altri territori, emerge con evidenza la dirompente crescita del turismo straniero nella nostra isola: alla fine del 2019 risulta quasi quadruplicato rispetto ai primi anni 2000, contro 2,5 volte nelle regioni meridionali e 1,5 volte in Italia.
Se però si guarda alle motivazioni della vacanza (sia quelli che arrivano nelle strutture ufficiali, sia quelli che decidono di pernottare in abitazioni private), emerge come la Sardegna sia tra le regioni italiane tra quelle con la maggiore polarizzazione nelle scelte dei turisti, ad indicare un’immagine fortemente caratterizzata. In base agli ultimi dati disponibili, relativi al 2018, solo il 2% dei visitatori stranieri presenti nell’Isola era infatti motivato da ragioni culturali (77% mare, 7% enogastronoma e agriturismo), a fronte di percentuali superiori al 50% in Sicilia e Campania.
Eppure, rileva la ricerca della Cna sarda, quanto a dotazione di siti culturali (musei, parchi archeologici, complessi monumentali) la Sardegna non ha nulla da invidiare alla Campania o alla Sicilia. In base agli ultimi dati disponibili rilevati dall’Istat, l’offerta storico culturale regionale è infatti di tutto rilievo: nel 2018 sono stati censiti in Sardegna 290 tra musei, siti archeologici, aree monumentali, privati e pubblici, un dato che pone l’Isola all’ottavo posto tra le regioni italiane, prima regione del Mezzogiorno, persino sopra la Sicilia (260) e la Campania (233). Seguono, tra le regioni meridionali, la Calabria (166) e la Puglia (164).
Eppure questo notevole patrimonio storico culturale risulta ancora poco frequentato dai visitatori, nazionali e internazionali: il numero medio di visitatori annui per sito in Sardegna nel 2018 è di poco superiore a 7.600 unità, contro gli oltre 65mila visitatori della Campania e gli oltre 29mila della Sicilia. Solo poche altre regioni hanno un indice più basso della Sardegna.
In Sardegna non mancano nemmeno le eccellenze riconosciute al livello nazionale e internazionale: dei 55 siti italiani etichettati come “patrimonio mondiale” dall’UNESCO, così definiti in base a una decina di criteri culturali e naturali, uno si trova in Sardegna, il Villaggio Nuragico di Barumini (ufficialmente riconosciuto di eccezionale valore universale dal 1997); a questo, negli anni più recenti, se ne sono aggiunti altri, sotto altre categorie: una Riserva della Biosfera (il sito Tepilora, Rio Posada e Montalbo, per le sue peculiarità ambientali, nel 2017) e due beni patrimonio immateriale dell’umanità (il Canto a tenore nel 2008 e la Faradda di li candareri nel 2013). Emblematico invece è il percorso seguito dal parco Geominerario della Sardegna, che era stato inserito nel 2015, ma è stato successivamente “squalificato” a motivo di una inadeguata organizzazione sul piano delle risorse umane. C’è poi una lista di altri siti che attendono da moti anni la valutazione dell’Agenzia delle Nazioni Unite (l’arcipelago della Maddalena, l’Asinara, le bocche di Bonifacio, gli stagni dell’Oristanese, il Sulcis-Iglesiente). Inoltre, tre destinazioni sarde sono state insignite del premio EDEN istituito dalla Commissione Europea per il turismo culturale e sostenibile (in Italia in totale sono solo sette); si tratta di Guspini (Montevecchio), le miniere di Porto Flavia e Serbariu, la Penisola del Sinis e l’Isola di Mal di Ventre. Ma la questione che si pone non è tanto quella dell’effettivo ottenimento del “certificato” di patrimonio UNESCO o di altro genere, quanto quello di una effettiva capacità (degli organi locali preposti) di programmazione e di sviluppo dei progetti correlati di promozione, senza i quali la nomination produce effetti limitati sul turismo regionale, e quindi sull’economia dei territori.