Umbria: il Rapporto economico e sociale dell’Aur

La presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, era presente all’incontro durante il quale è stato presentato il Rapporto economico e sociale dell’Umbria 2018-2019, a cura di Agenzia Umbria Ricerche. “La ricerca e lo studio dell’Aur hanno evidenziato le tante criticità di cui soffre l’Umbria e che avranno bisogno di riflessioni serie e approfondite per superare le distorsioni che sono presenti nella nostra regione”.

A moderare l’incontro è stato Giuseppe Coco, direttore della rivista Aur&S. La presidente ha aggiunto come sia obbligatorio invertire la rotta: “Abbiamo visto come in Umbria in questi anni sono arrivate molte risorse che però, se i risultati sono quelli che abbiamo appena visto, forse non sono state indirizzate nella direzione giusta. Evidentemente questo è il momento delle scelte e non più della distribuzione a pioggia. Ci sono settori che sono utili allo sviluppo della nostra regione e ai quali dunque va data priorità. Saranno scelte che faremo insieme alle imprese, alle Università, ai Centri per la formazione e uno degli obiettivi dovrà essere quello di conciliare domanda e offerta nel mondo del lavoro, oltre a dotare l’Umbria di quelle infrastrutture necessarie per un collegamento efficace, sia in entrata che in uscita, con l’Italia ed il mondo”.

Ad aprire i lavori è stato il commissario straordinario di Aur, Stefano Strona, poi è seguito l’intervento di presentazione, dal titolo ‘L’Umbria com’è, l’Umbria come potrebbe essere’, a cura di Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia, i due fautori della ricerca Aur. C’è stato poi l’approfondimento tecnico di Sergio Sacchi, su ‘La quarta rivoluzione industriale’. Antonio Picciotti, dell’Università degli studi di Perugia, ha parlato del ‘Made in Umbria’; Meri Ripalvella, ricercatrice di Agenzia Umbria Ricerche, si è concentrata del terzo approfondimento sulle trasformazioni demografiche dei territori. A chiudere Luca Ferrucci, Ateneo di Perugia, su ‘Spese pubbliche per interventi sociali’.

Andiamo adesso a scoprire i punti nevralgici del Rapporto. L’Umbria è una regione che ha necessità di generare reddito, rafforzando la sua attrattività, prima di tutto per chi vuole viverci, lavorarci, studiarci, iniziare qualcosa. In generale, in Umbria si vive bene: tessuto sociale piuttosto coeso, soddisfazione per la vita su valori medio-alti, il capitale umano si caratterizza per livelli di istruzione elevati. Nel mondo, l’Umbria è vista positivamente per i luoghi e le esperienze di chi la visita, ma anche per i manufatti, con punte di eccellenza. C’è però un futuro a rischio: la popolazione cala, ci sono squilibri demografici, generazionali e territoriali, il declino economico, l’impoverimento della capacità di produrre, scarsa incisività negli investimenti pubblici e privati, ritardi nell’affrontare problemi strutturali e infrastrutturali. La perdurante incapacità a generare reddito rischia di rendere insostenibile il funzionamento dei cosiddetti propulsori di benessere (servizi sociali e sanitari, territoriali e ambientali, istruzione e formazione), il che porterebbe a veder calare tenore e qualità di vita.

Dal 2007 al 2017 il Pil umbro è calato del 15,6%, più del triplo rispetto a quello nazionale, più della media delle regioni del Sud. Il Pil pro-capite nominale è pari a 85, facendo pari a 100 quello medio italiano. L’Umbria è tra le realtà deboli e in arretramento, insieme al Sud (esclusa la Basilicata) e alle Marche, ma con risultati peggiori. Positivo è il capitolo esportazioni, il cui rapporto con il Pil nel 2017 ha toccato il 18%, il valore più alto di sempre, dovuto anche al basso livello del denominatore.

Dal 2014, abbiamo avuto una ripresa della spesa per consumi finali delle famiglie, ma il livello pro-capite reale è più basso di quello nazionale (come nel 2009). In soldoni: in Umbria, le famiglie spendono meno per consumi finali che la media del resto d’Italia. Modesta la ripresa degli investimenti dal 2015. Così come la propensione a investire (la regione era al di sopra della media italiana, oggi è a 21 punti dal 100 nazionale). La produttività reale del lavoro è a -14 punti da 100. Sul fronte manifatturiero, dopo il tonfo del 2009, c’è stata una risalita, ma l’Umbria è ancora a 16 punti dal dato italiano. La forbice più alta l’abbiamo nei servizi avanzati (-23 punti). Riconferma per il basso livello dei redditi da lavoro dipendente (-9 punti rispetto all’Italia, -13 se consideriamo solo il manifatturiero).

Quadro migliore se passiamo ad analizzare il reddito disponibile e non quello generato dagli assetti produttivi. Siamo a -3 punti dal 100 italiano nel 2016. Abbiamo un’alta percentuale di famiglie che utilizza quale reddito le pensioni e i trasferimenti pubblici: 41% contro il 38,7% italiano. In Umbria c’è anche una più equa redistribuzione dei redditi: 23.170 euro correnti a famiglia contro i 20.713 italiani.

Nel 2017, la regione ha avuto una crescita reale del valore aggiunto del terziario (+0,5%), ma continua il calo nell’industria in senso stretto (-0,3%) mentre il Paese sale (+3,7%). Il settore della Pubblica amministrazione genera più reddito rispetto all’industria della trasformazione, in media con l’Italia. Per il settimo anno consecutivo, invece, scende il valore aggiunto reale delle costruzioni, mentre Italia e Nord proseguono la lenta ripresa iniziata nel 2016. In un processo di terziarizzazione enfatizzato dalla crisi industriale, dal 1995 al 2017 la quota di valore aggiunto generate dall’industria in senso stretto perde più di 10 punti contro i 5 del Nord, del Centro e dell’Italia. Il suo peso, nel 2017, non arriva al 20 per cento, come la media nazionale.

Passiamo al capitolo occupazione. Nel 2018 12 mila occupati in meno rispetto al 2008 (il massimo, più di 367 mila unità). Il tasso di occupazione del 63% (15-64 anni) è così diviso: 71,5% maschile, 54,9% femminine. Valori che vanno oltre la media italiana, ma inferiori al Settentrione e di molto. Dal 2017 al 2018 c’è un aumento degli occupati nelle Costruzioni (+5,3%), nel Commercio, alberghi e pubblici esercizi (+0,4%) e agricoltura (+7,3%). Calano altrove. Diminuisce la componente indipendente del lavoro (29,9% nel 2004, 25,3% nel 2018), crescono i lavori non standard: il tempo determinato passa dal 13,7% del 2004 al 17,9% del 2018; il part-time dal 12,8% al 20,4% sul totale degli occupati. E ancora: il part-time involontario, soprattutto tra le donne, schizza dal 7,7% al 20,3%, più del triplo rispetto ai colleghi maschi. Sempre meno giovani tra gli occupati: gli under 35, che erano un terzo della forza lavoro nel 2004, oggi diventano poco più di un quarto, superati dagli ultra 54enni (22%).

Nel 2014 la disoccupazione raggiunse il suo picco, nel 2018 finalmente c’è una diminuzione del 13,8% (6 mila unità). Il fenomeno ha interessato in misura maggiore gli uomini, con il tasso di disoccupazione sceso al 7,7% contro l’11% femminile. Negli anni della crisi, la disoccupazione era stata prevalentemente maschile. Nel 2018, analizzando l’età tra i 15 e i 24 anni, 31 risultano disoccupati (22 al Nord). Va un po’ meglio tra i 25 – 34enni, il cui tasso di disoccupazione nel 2018 è doppio rispetto a quello della fascia più anziana della popolazione in età lavorativa (54-65 anni).

Diminuisce il numero di persone che hanno una laurea e che lavorano. Con il 78,4% di occupati, l’Umbria, nel 2018, è sotto ai livelli nazionali e ancor di più a quelli del Centro-Nord. La regione si piazza al secondo posto tra le regioni con un 31% di occupati sovraistruiti (in Italia la media è del 25% circa). Si attenua la differenza tra i generi: nel 2018 il tasso di occupazione delle laureate umbre è del 76% contro l’82% dei laureati.

Capitolo rivoluzione industriale, la quarta. La modernizzazione dell’apparato manifatturiero è in ritardo, non solo in Umbria, ma in tutta Italia. In particolare per colpa delle debolezze strutturali di un sistema produttivo regionale composto prevalentemente da imprese piccole e medie, con un’incidenza limitata delle società di capitale (19,5% del totale delle imprese attive e 30,8% per la sola manifattura), bassa propensione alla R&S, specializzazione produttiva più marcata nei settori tradizionali, più bassa capacità di accesso al credito delle banche, più fragile equilibrio finanziario, diffusa sottocapitalizzazione e difficoltà di implementare articolati programmi di investimento. Cospicua la presenza di imprese (90%) non interessate dai programmi di Industria 4.0. Per il futuro, si stima maggiore attenzione verso la stampa tridimensionale (3,5%) e alla gestione dei dati, specialmente se su cloud, con riguardo particolare per la cyber sicurezza (3,7%). Solo il 7% delle imprese della platea potenziale introdurranno una o più tecnologie di Industria 4.0. Le difficoltà? Trovare profili adeguati (55%) e carenza di competenze all’interno (45%).

Passiamo al Made in Umbria, rappresentato da Agroalimentare e Tessile-abbigliamento. Questi due settori assorbono la maggior parte degli occupati, pur con forte rallentamento negli ultimi anni. Significativo il grado di apertura internazionale del Made in Umbria. La Produzione di olio, per esempio, è orientata verso logiche di tipo commerciale, con elevati flussi di esportazione ma anche di importazione). L’Abbigliamento e la maglieria riescono a contenere le importazioni e a generare un maggior valore aggiunto. Proprio Produzione di olio e Abbigliamento vedono la presenza di imprese di dimensioni più grandi.

La regione è una delle più vecchie d’Italia, con una aspettativa di vita di 86 anni per le donne e 82 anni per gli uomini (un anno in più della media nazionale). Nel 2011 c’erano 180 anziani ogni 100 giovani, oggi siamo a 204 over 65 contro 100 under 14. A subire una contrazione della popolazione sono in particolare i comuni di piccole e piccolissime dimensioni (fino a 7.500 abitanti). Le aree del ‘disagio demografico’ sono il 37% della superficie regionale, dove risiede il 14% della popolazione: gran parte della Valnerina, molti comuni della provincia di Orvieto. Ci sono in particolare 15 comuni a rischio estinzione; quattro di questi (Poggiodomo, Polino, Sellano e Parrano) hanno condizioni demografiche ancora più gravi. Nel 2018, a Poggiodomo, c’erano 56 over 65 e solo 4 under 14; a Pollino, 94 contro 15.

L’Umbria è tra le regioni maggiormente etero diretta dallo Stato; restrizioni di spesa a livello nazionale si ripercuotono direttamente sulla regione. L’Umbria presenta una spesa sociale pro-capite nel 2016 decisamente superiore rispetto alla media nazionale e si posiziona nel ranking come la settima regione italiana. Per una regione come l’Umbria che, strutturalmente, ha un’incidenza relativamente elevata della popolazione anziana, una presenza relativa di immigrati sopra la media nazionale e un livello del Pil pro-capite decisamente insoddisfacente, la spesa pubblica sociale (allocata, a livello nazionale, in base alla consistenza della popolazione) genera un evidente malessere nella comunità regionale. Cambiamenti nelle regole allocative di queste risorse finanziarie pubbliche a livello nazionale potrebbero generare un maggior plusvalore a favore della regione, in funzione dei bisogni sociali.

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