Quel che infatti colpisce, entrando nel suo studio a Roma, non sono tanto i titoli e i corsi di specializzazione in mostra sulle pareti che gli consentono di affrontare tanto un intervento di odontoiatria classica quanto un’implantologia tecnologicamente avanza, ma soprattutto il suo approccio al paziente, che mette sempre al centro dell’attenzione la persona. Saranno stati gli insegnamenti ricevuti dal papà, medico anche lui, o una passione estrema, quel che conta per Bernardini e per il suo staff è partire da un’analisi del paziente e delle sue abitudini. L’obiettivo è quello di arrivare a sviluppare un piano personalizzato considerando un principio fondamentale, e cioè non limitarsi a curare o risolvere il problema specifico che ha spinto il paziente alla ricerca di una cura, ma ricercare l’origine di quel problema. Indagare su patologie correlate o collaterali, affinché la cura non sia un intervento circoscritto, è l’inizio di un percorso che aiuta il paziente ad evitare l’insorgenza di quello stesso problema nel tempo.
“E’ importante – spiega il dottor Bernardini – innanzitutto attenersi al giuramento fatto come medici, avere amore per la medicina e per le persone, non limitandoci alla parte tecnica. Abbiamo oggi a disposizione un arsenale sconfinato di possibilità di cura, strumenti e tecniche in grado di aiutarci a comprendere e risolvere un problema o una patologia, ma è fondamentale capire perché un problema si sia manifestato”. “La tecnologia – prosegue Bernardini – oggi è un fattore scontato. Quel che cerchiamo di fare con il nostro approccio è contrastare il rischio di una deriva tecnologica che, per inseguire l’innovazione o la iperspecializzazione, potrebbe farci perdere di vista il paziente nella sua interezza”. Scanner che consentono l’acquisizione di impronte digitali in maniera rapida, puntuale ed efficace; radiografie 3D con tecnologia Cone Beam; impianti di ultima generazione con protocolli innovativi di chirurgia guidata; tutte soluzioni che permettono di risolvere casi di pazienti con poco osso o spaventati da terapie convenzionali più invasive, e di far tornare a sorridere già dopo poche ore i pazienti con denti provvisori fissi.
“Quel che le tecnologie non ci insegnano è leggere la storia e i comportamenti del paziente, che, se modificati adeguatamente, possono far intraprendere la strada per la migliore cura, anche nel caso di una patologia comune come la carie. La carie è infatti la manifestazione clinica ma il problema a monte si chiama patologia cariosa. A noi interessa evitare che la carie possa svilupparsi nuovamente nel tempo, per questo osserviamo insieme al paziente le abitudini di vita, gli stili alimentari, oltre alla struttura fisica e al patrimonio genetico. E’ lì il segreto della prevenzione”.
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