Export regionale in frenata in Sardegna

export in frenata

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Export regionale in frenata in Sardegna. Nel primo semestre dell’anno in corso, al netto del settore petrolifero, il volume complessivo dell’export regionale ha segnato un calo del 1,3% rispetto allo stesso periodo 2018. Il dato peggiora (-3%) se si include anche il comparto petrolifero che, da solo, rappresenta l’82% delle esportazioni dell’Isola. Eppure, come attesta un report della Cna Sardegna, qualche segnale positivo arriva dal settore agroalimentare. In particolare, il lattiero-caseario (legato principalmente all’export del Pecorino) dà finalmente segni di ripresa (+4%) dopo un triennio disastroso.

Il calo del primo semestre dell’anno arriva dopo un 2018 complessivamente positivo. L’anno passato si era infatti chiuso con una crescita (sempre al netto del comparto petrolifero) pari al +3,3%, trainata dalle vendite di prodotti chimici e farmaceutici (+27%) e dell’industria metallurgica (+8,3%). Molto male era andato anche lo scorso anno il settore agroalimentare, che ha proseguito il suo trend negativo di durata ormai triennale. Viceversa, nei primi sei mesi del 2019 le vendite di prodotti agroalimentari sono andate in controtendenza segnando un aumento del +4% rispetto allo stesso periodo del 2018, pari a 3 milioni di euro in più.

“Il dato è doppiamente significativo se si osserva che ad incrementare il dato delle vendite sono stati i prodotti lattiero caseari ed in particolare il pecorino – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -: la cosa fa ben sperare perché si tratta di un comparto che rappresenta l’unica realtà industriale regionale con una filiera “quasi” completamente locale e che assorbe una quota del 62% di tutto il settore agroalimentare isolano”.

In un semestre nel complesso negativo, le vendite di prodotti agroalimentari segnano dunque un +4% rispetto allo scorso anno: 3 milioni di euro in più. Tutto ciò grazie ad un incremento delle vendite dei prodotti lattiero caseari, comparto che come detto assorbe una quota del 62% del settore agroalimentare isolano (al secondo posto si colloca il comparto delle bevande, con il 15%, al terzo quello dei prodotti da forno e farinacei, 9%, seguito dalle carni lavorare, 5,7%).

Quando si parla di esportazioni nel comparto lattiero-caseario si fa ovviamente riferimento soprattutto al mercato del pecorino. Sotto questo profilo , rileva lo studio della Cna Sardegna, si può affermare che sono state le dinamiche negative delle vendite all’estero di questo prodotto DOP (il Pecorino Romano e il Fiore Sardo) a determinare le vicende dell’intero comparto agroalimentare sardo. Il calo è stato importante: considerando le esportazioni nazionali complessive di Pecorino e Fiore Sardo (il 95% relative a prodotto lavorato in Sardegna) si è passati dai 162 milioni del 2015 ai 124 milioni del 2018.

Per spiegare questa performance negativa è possibile isolare due fattori: la fluttuazione dei prezzi di vendita e la scarsa diversificazione in termini di mercati di sbocco.

Il 2015 aveva rappresentato il picco massimo dell’ultimo decennio, quando, secondo i dati Istat, il livello medio del prezzo all’export era arrivato ad oltre 9 euro al chilo, salvo poi letteralmente crollare nel biennio successivo e risalire leggermente attestandosi nel 2019 abbondantemente al di sotto della soglia di riferimento di 8,5 euro/Kg. Si tratta di una dinamica che trova conferma nelle quotazioni ufficiali mensili della piazza di Milano per prodotto con oltre 5 mesi di stagionatura (il prezzo s’intende quello praticato nelle transazioni commerciali tra operatori economici del settore, prezzo franco caseificio, merce nuda I.V.A. esclusa), che indicano attualmente (settembre 2019) una quotazione di 6,75 euro al Kg (il livello del prezzo dipende, ovviamente, dalla quantità di prodotto presente sul mercato e dalla domanda espressa dai principali mercati di sbocco).

Il report della Cna sarda confronta le dinamiche del prezzo del pecorino con quelle del prodotto caseario per eccellenza dell’export nazionale, ovvero il parmigiano (Grana Padano e Parmigiano Reggiano), che rappresenta un mercato estero da quasi un miliardo di euro di export nel 2018 (932 milioni, contro i poco più di 120 milioni del pecorino): nel 2015, secondo i dati Istat, il prezzo medio di vendita del pecorino era superiore a quello del parmigiano. Negli anni successivi, tuttavia, le dinamiche sono state opposte: il pecorino, come detto, ha mostrato un calo vertiginoso dei prezzi unitari (da 9,5 a circa 7 euro al Kg nel 2019), mentre il secondo ha visto lievitare i prezzi fino a oltre 11 euro al Kg (da 8,9 del 2015). Si può affermare che esiste un problema di tenuta del prezzo nel mercato del pecorino.

Un elemento che contribuisce a spiegare dinamiche de prezzi così sfavorevoli è la scarsa diversificazione dei mercati di sbocco del pecorino. Ad esempio, se si considerano solo i primi due mercati (Stati Uniti e Germania, sia per il pecorino, sia per il parmigiano), il valore delle esportazioni rappresenta il 70% delle vendite all’estero di pecorino, contro il 36% per il parmigiano; se poi si estende il calcolo ai primi 5 mercati (USA, Germania, Francia, Regno Unito e Canada) si arriva all’83% per il formaggio sardo e ad appena il 59,7% per il parmigiano. Proprio questo carattere fortemente specializzato espone il prodotto sardo a maggiori rischi derivanti dalle fluttuazioni dei tassi di cambio e a situazioni sfavorevoli dal lato delle politiche commerciali dei partner. Si pensi alle conseguenze di una politica di sempre maggiore chiusura verso le importazioni europee da parte degli USA, o ai rischi, ancora totalmente da decifrare, derivanti dalla Brexit.

Altro punto di debolezza del Pecorino è la sua minore capacità di penetrare i Nuovi Mercati, ovvero i mercati delle economie emergenti, come Cina, India, Turchia, Russia, Sud Est Asiatico e Sud America (Brasile in testa). Considerando gli ultimi dieci anni, ad esempio, la quota sull’export totale dei Nuovi Mercati per il parmigiano è cresciuta dal 10 al 13%, mentre per il pecorino a fatica ha superato il 6%.

 

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