Lo chef Bistarelli: “Gualtiero Marchesi? Eleganza tratteggiata con la fatica”

L’Italia è il Paese numero uno al mondo per quanto riguarda cibo e cucina, l’Umbria invece è indietro. A dirlo è uno chef figlio di questa regione, Marco Bistarelli, già stella Michelin, che oggi ha aperto un caffè – ristorante a Fano, il ‘Botanic’, dove propone le sue specialità (tra cui il piccione, rinomato in tutto il mondo), ma non solo.

Non si può non partire però da un ricordo del Maestro, ossia di Gualtiero Marchesi, che Bistarelli ha incontrato più volte.

Ci racconta Gualtiero Marchesi fuori dalla cucina?

“Quattro anni fa, a Perugia, venne all’inaugurazione di un mio locale, al Castello di Monterone. Poi facemmo una passeggiata digestiva nell’uliveto antico. Lui apprezzò moltissimo e mi disse: “Quando morirò, vorrei essere seppellito qui”. Queste parole le ricordo benissimo, è stata l’ultima volta che ho parlato con lui. Era stato talmente bene che avrebbe voluto vivere qui la sua eternità”.

E il Maestro in cucina?

“Un esempio, un grandissimo esempio. La sua eredità? Il rigore, associato alla passione, l’amore per il mestiere. Lui, quando arrivava – sempre per primo – si metteva a lavare i piatti o a pulire qualcosa in cucina. E gli altri magari storcevano il naso, pensando che uno chef non dovrebbe avere questo compito. Spesso, presi dalle cose da fare, si arriva in ritardo al lavoro. Lui no, sempre in anticipo. Io ho capito cosa voleva trasmettere facendo così. Quando riuscivi ad anticipare qualche sua mossa, ti diceva bravo. Ha lasciato molto a me, come agli altri che sono cresciuti con lui e grazie a lui”.

Qualche nome?

“Vincenzo Cammerucci, colui che mi mandò a fare lo stage di tre mesi da Marchesi e che non smetterò mai di ringraziare. Oldani, Barbieri. Tutti hanno imparato la follia del tenere la cucina in ordine e oggi la passano ai loro allievi. Anche io. Gualtiero non era solo follia della grande cucina, ma anche di questo rigore. Per poter diventare bravi cuochi, bisogna avere rispetto della cucina. La storia gliene ha dato merito, visto che è stato il primo italiano ad avere le tre stelle Michelin. Se dovessi riassumere la filosofia di Marchesi, direi: tutti devono saper fare tutto in una cucina. L’eleganza tratteggiata attraverso la fatica. Io tutt’oggi, quando lavoro, creo prima di tutto un gruppo, un’orchestra. I miei ragazzi ogni tanto mi chiedono: perché lavi un piatto? Per il principio che ho esposto prima”.

Gli chef televisivi di oggi sono troppo personaggi?

“I tempi sono cambiati, oggi tutto è spettacolarizzazione. A me dà fastidio il rigore finto che viene trasmesso in programmi come Masterchef, dove si vede il piatto lanciato contro chi sbaglia. In una cucina non è mai successo. Il vero rigore è far pulire la cella per 15 giorni se hai sbagliato per cinque volte. E pulirla anche se è già pulita. Ma questo non sarebbe spettacolare in tv”.

Come sta l’Italia dal punto di vista della cucina?

“La cucina italiana è cresciuta tantissimo, tanto è vero che il miglior ristorante al mondo è del mio amico Bottura. La Francia ci sta guardando. Noi siamo stati intelligenti nel fare una cosa: da quando è nata ‘Identità Golose’, ci siamo sempre scambiati le idee, e questo ha creato un profitto incredibile in Italia. Un sentimento che manca tra noi chef è la gelosia. Io, per esempio, ringrazio Cammerucci per avermi dato gli strumenti che mi permettono di lavorare. Noi agée tra di noi ci vogliamo bene e io sono dell’idea che proprio dal passato, talvolta, si debba partire per costruire il futuro. Anche tirando fuori vecchi strumenti da lavoro, che parrebbero ormai passati di moda”.

I giovani cuochi come si comportano?

“Sento dire che non sono efficienti. Magari ci fanno credere di essere chissà chi e poi non emergono. Io li chiamo ‘fenomeni’ perché si permettono di dire che siamo vecchi e non valiamo niente. Io, però, so cucinare pure con un forno a legna o in mezzo al bosco. Loro, senza la tecnologia che c’è oggi, entrerebbero nel panico. Non sanno come si cucina nella padella di ferro, altra eredità di Marchesi. Io con 60 euro ho fatto 9 padelle di ferro, vecchie 35 anni, ma che funzionano ancora benissimo. Vorrei che di questo si parlasse”.

L’Umbria e il food…

“L’Umbria si è persa, tenendo presente che è sempre stata in ritardo. Il cliente ha un atteggiamento che non permette di impegnarsi più di tanto. Si accontenta della sagra, della trattoria. Io, Vissani e altri 4-5 abbiamo fatto qualcosa, ma poi ci hanno tolto ossigeno spegnendoci poco alla volta la candela”.

Dal 1° gennaio 2018 anche in Italia si possono cucinare insetti: che ne pensa?

“In alcuni Paesi ci sono e io li rispetto. Ma a noi italiani non può interessare, non rientra nella nostra genetica. A ognuno il suo. Domani può darsi che ci salveranno la vita, ma al momento l’hanno salvata a quei popoli. Noi non abbiamo mangiato formiche vive e penso che non inizieremo oggi. Non credo sia proponibile in Italia, siamo ancora distanti da questo momento. Se poi un ristorante thai vuole aprire e proporre gli insetti fritti lo può fare, ma in quel caso sono io che cerco quel piatto e vado lì a mangiare. Me lo vado a cercare. Di certo, in un mio ristorante, non succederà mai”.

Il 2018 è anche l’anno del cibo italiano nel mondo

“Noi non dovremmo avere paura di niente, siamo i numeri uno. Tutti ci invidiano la cucina. Ma bisogna riconnettere le menti, continuare a non essere gelosi, essere sempre più uniti perché siamo una forza. Non abbiamo eguali né concorrenza”.

La prossima avventura di Bistarelli quale potrebbe essere? Forse un ristorante vegano?

“So che alcuni clienti mi fanno i complimenti per il menù vegano del Botanic e mi chiedono perché non apro un locale solo vegano. Chissà. Di sicuro preferirei una cucina di questo tipo che quella con gli insetti”.

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