Schiavoni: “La cultura della responsabilità sociale è dentro ogni impresa”

Claudio Schiavoni

Claudio Schiavoni

“Quando ero Presidente dei Giovani Imprenditori ricordo un collega che mi propose un corso di formazione sulla responsabilità sociale d’impresa. Gli chiesi quali fossero le motivazioni per occuparci di questa iniziativa. Mi rispose che, come imprenditori, avremmo più interesse ad un giovane da occupare in azienda che vederlo in giro senza lavoro e ostaggio di situazioni pericolose come, ad esempio, la tossicodipendenza, causando gravi danni per la persona e per l’ambiente sociale. Mi convinse subito”.

Il ricordo è di Claudio Schiavoni, oggi alla guida di Confindustria Marche Nord e un passato nell’associazionismo junior, sempre molto attivo nel tematiche sociali.

“In effetti, pensavo, non era solo un’opera di bene, ma un’azione efficace che pone noi imprenditori in una posizione centrale nella società in cui operiamo e viviamo: quella che ci chiama a farci carico anche di problematiche sociali ed impegnarci a migliorare l’ambiente che ci circonda”.

L’azienda come “bene sociale” è un concetto chiave nelle corde di Schiavoni, un elemento che spesso ha generato incomprensioni nell’ambiente: “Dire che l’azienda è di tutti non è corretto, però sostenere che oltre ad essere un bene di proprietà dell’imprenditore, che deve fare utili per sé ed i propri azionisti, è anche un bene di tutti, dipendenti e persone che vivono sul territorio si riferimento, è davvero un dato oggi da ritenere acquisito nella nostra mentalità. Per questo motivo, tutti dovrebbero essere interessate a che l’azienda vada bene, faccia profitti e generi benessere per chi vive dentro e intorno ad essa”.

Gli imprenditori puntano alla SRI (Responsabilità Sociale d’Impresa) come una leva strategica per la crescita dell’azienda, anche in funzione del fatto che oggi, alla luce della rivoluzione culturale dettata da “Industria 4.0”, la persona è sempre di più al centro.

“Un collaboratore – sottolinea Schiavoni, deve poter lavorare sereno e in un clima aziendale sereno: solo così è possibile contribuire al successo dell’impresa”.

In molto casi le istituzioni sono assenti, per negligenza o spesso per mancanza di fondi, quindi non si contano i casi in cui i privati, imprenditori in primis, intervengono su situazioni che risolvono problematiche di carattere sociale.

“Noi, come Confindustria Ancona – aggiunge Schiavoni – abbiamo istituito ‘Confamily’, un gruppo di imprese che hanno donato danaro per venire incontro alle esigenze di famiglie in gravi difficoltà economiche: in un anno abbiamo aiutato 40 famiglie disagiate con 1000 euro cadauna, per sopperire a situazioni problematiche come, ad esempio, la perdita del lavoro da parte di uno dei due componenti”.

Schiavoni ha le idee chiare sul ruolo sociale delle imprese: “Sono convinto – dice – che più ha più deve mettere, facendosi carico, in quota parte, di ciò che ha bisogno il territorio. Lo Stato e le istituzioni locali dovrebbero essere più presenti nel sopperire alla ‘restante’ quota parte”.

Resilienza? Solidarietà?

“Anche, ma soprattutto vera e propria responsabilità sociale per vivere meglio, perché è giusto che chi più ha e più deve contribuire al benessere diffuso e, non ultimo, perché rappresenta una questione d’immagine per l’impresa e l’imprenditore”.

Si direbbe: “Fai del bene e fallo sapere”, ma senza alcuna velleità di mettersi in mostra.

“La corsa alla solidarietà concreta – aggiunge Schiavoni – su Confamily è stata spontanea e ci ha sorpreso: su 500 aziende associate alla nostra territoriale di Ancona, hanno risposto subito in 100, senza poi considerare che oltre a questa iniziativa non si contano quelle che sono avviate in sordina e senza grandi clamori”.

Sponsorizzazioni di squadre giovanili dilettantistiche, parrocchie, sistemazioni di edifici di culto e oratori, sistemazione di zone antistanti gli stabilimenti, donazioni per missioni nel Terzo Mondo e comunità di tossicodipendenti e di giovani e famiglie disagiate.

“La responsabilità sociale – conclude Schiavoni – non rappresenta un ‘costo’ per le imprese, né tanto meno un modo per mettersi a posto con la coscienza. E’ un dovere morale ed un vantaggio indiretto per sostenere l’ambiente sociale e anche quello ‘green’, come dimostra la corsa alla certificazione ambientale di molte aziende, all’utilizzo di materie prime non inquinanti e al riciclaggio. Perché è la ‘cultura’ della responsabilità che è al centro delle nostre aziende”.

Exit mobile version