Il successo globale di Kiko

Ogni donna in Italia conosce Kiko. La catena di cosmetici italiana è presente in centri commerciali, grandi città, in provincia e anche all’estero, per un totale di oltre 700 punti vendita. È un modello che sembra vincente, tanto che a parlarne come di un’azienda sana e di un business in crescita è stato l’“Economist”.

Nell’articolo del settimanale inglese dal titolo A shake-up in make up (“Uno scossone nel regno del make-up”) viene elogiata la strategia messa in campo dall’azienda bergamasca ‒ creata da Antonio Percassi ‒, che oggi conta quasi 6.000 dipendenti, per un fatturato che si aggira intorno ai 430 milioni di euro l’anno.

In particolare in un passaggio chiave l’“Economist” spiega: “Sta adottando i principi già usati con grande successo dalle catene di abbigliamento fast-fashion, come Zara e H&M: cambiare di continuo l’allestimento dei prodotti nei negozi, per incoraggiare i clienti a entrare più di frequente; rispondere alle ultime tendenze dei consumatori; tenere bassi i prezzi”.

Una ricetta tanto semplice quanto imbattibile al momento, in un mercato, quello della cosmesi, che è cresciuto di quasi il 4% negli ultimi anni, raggiungendo i 181 bilioni di euro nel 2014.

Per i concorrenti di Kiko è una corsa a studiare nuove strategie. Sephora, ad esempio, che in genere ha prodotti più costosi, ha perso una grande fetta della clientela francese tra i 15 e i 24 anni, che oggi preferisce comprare (spendendo meno) da Kiko. L’Oreal, la più grande azienda di cosmetici al mondo, è intenzionata ad aprire nuovi negozi dove venderà solo i suoi marchi, ma con un prezzo più accessibile ai consumatori.

Sfidare Kiko non sarà comunque facile. A volte gli ultimi arrivati ‒ che attraverso il gruppo oggi posseggono anche i marchi Madina, Womo, Bullfrog, Billionaire Italian Couture, Vergelio ‒ si adattano meglio ai bisogni nuovi della società, e delle donne in questo caso.

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