Dal brunch al Pistun, ecco i piatti di Pasqua in Friuli Venezia Giulia

cjarsons

Dal brunch al Pistun, con una varietà di piatti che solo una terra dove si incrociano tante culture e tradizioni può offrire. La tavola di Pasqua del Friuli Venezia Giulia racconta la storia gastronomica di una regione, dove le tradizioni provenienti dal Medioevo al periodo austo-ungarico dell’800 si alternano alla modernità dei giorni nostri in gustosi piatti, dolci e salati, caratteristici di più territori. Dal mare alla montagna, passando per la pianura e la collina, attraversando le varie città del Friuli Venezia Giulia così come le località lagunari e balneari, anche nel periodo pasquale è possibile deliziare il palato con prelibate ricette frutto di contaminazioni di popoli e tradizioni tramandate nei secoli.

 

La Frataia ‘ta la renga e la Sevolada cu lis rènghis, pietanze del Mercoledì delle Ceneri

 Il periodo in cui si deve mangiare magro è per i friulani la stagione della “renga”, che deve reidratare per una notte nel latte, per poi essere consumata, cruda o cotta. Tra le ricette la Frataia ‘ta la renga, una frittata, e la Sevolada cu lis rènghis, la cipollata con le aringhe. Nel Friuli di una volta c’era il rito di andare per osterie a mangiare “Renghe e rati”: un abbinamento curioso e quasi dimenticato. Il rati, o ramolaccio, è un tubero dal sapore intenso e piccante, che crudo, grattugiato o cotto ben si abbina con l’aringa affumicata. Il suo sapore ricorda quello del ravanello, ma è molto più carico e piccante, tanto che per indicare una persona stizzosa, irosa e “ruvida” ci si riferisce a questo ortaggio: “jessi un rati”.

 

Il Bacalà alla cappuccina della Quaresima

Accanto all’aringa si consuma lo stoccafisso, seccato o salato, o bacalà con una “c” sola, perché quello con due “c” fa riferimento in italiano al merluzzo sotto sale.

Nelle cucine del Friuli Venezia Giulia da un pesce legnoso e stopposo come lo stoccafisso, battuto, bagnato, cotto e aggiustato con infinita pazienza, si riescono a realizzare piatti come il Bacalà alla cappuccina, uno stoccafisso molto simile nella preparazione al baccalà alla vicentina, a cui si uniscono pinoli, uva passa e cannella, richiamando alla memoria il periodo rinascimentale, quando tra dolce e salato non venivano fatte grandi distinzioni.

 

Il brunch pasquale con il Magri Cuet e la gelatina di maiale

Finita la quaresima si entra nel clou delle feste pasquali, durante le quali a tavola si possono trovare il Magri Cuet, fatto con il sottogola o la spalla del maiale, bollito e servito con cren grattugiato, insieme a salame e uova sode, il tutto accompagnato dalla Fujazza (o Pinza) al posto del pane. Tradizione vuole che del brunch pasquale faccia parte anche un piatto di Zilidine, la gelatina di maiale decorata con una foglia di alloro, caratteristica delle zone del Carso, del Collio, di Gorizia e del Friuli asburgico. Le antiche ricette carsoline vogliono nella preparazione di questo ricco piatto ingredienti come piedini e orecchie di maiale, ginocchia di vitello e stinchi, anche se oggi in realtà viene preparato con altri tagli di maiale e vitello.

 

I Cjarsons per il pranzo di Pasqua

Sulla tavola della domenica di Pasqua non possono mancare i Cjarsons (nella foto), una sorta di ravioli provenienti storicamente dalla zona della Carnia, nati come piatto tipico della cucina povera che venivano preparati con pochi semplici ingredienti a disposizione in casa. Fra le mura di ogni abitazione delle vallate della Carnia è custodito un segreto diverso per prepararli. Si tratta di una pasta fresca a base di acqua e farina, con un ripieno che è un contrasto di sapori ancora una volta dolci e salati. Possono essere infatti farciti con erbe di campo o altre verdure, cacao amaro, uvetta, marmellata, cannella o addirittura grappa o rum.

 

Il cotto di Trieste

Altro immancabile prodotto sulla tavola pasquale è il Cotto di Trieste, companatico d’eccellenza della pinza. La preparazione del cotto, di tradizione austroungarica, oggi è mantenuta viva nel territorio della Venezia Giulia: si tratta di un prosciutto di suino cotto con l’osso e leggermente affumicato, aromatizzato con i fiori di finocchio o la radice di rafano grattugiata. Solitamente è servito in crosta di pane.

Sfiziosità dolci e salate: la Pinza, le Titole e il Pistun

Pandolce dal sapore delicato, la pinza è il più famoso fra i dolci pasquali della Venezia Giulia. Nelle province di Gorizia e Trieste, l’augurio che ci si scambia nei giorni pasquali è infatti “Bona Pasqua, bone pinze”. La pinza prevede una lunga lavorazione dell’impasto e una lenta lievitazione. Preparazioni simili si ritrovano nei manuali di cucina della Repubbliche Ceca e Slovacca e della cucina austriaca. È un dolce antico che le nonne impastavano a mano. Dopo una prima lievitazione mattutina, si aggiungevano uova, burro, zucchero e farina, per poi lasciarlo crescere ancora. La buona riuscita della pinza è data dalle frequenti lievitazioni e dall’incorporazione progressiva degli ingredienti. Il risultato è un pane lucido e profumato, non eccessivamente dolce, da consumare per la colazione pasquale o dopo il digiuno quaresimale, insieme a salumi, formaggi e pezzetti di uova di cioccolato.

Con la pasta delle pinze, a Pasqua, si confezionano anche le Titole (dette anche frati, tičica o menihi), trecce di pasta lievitata che racchiudono un uovo sodo, spesso colorato di rosso.

Il Pistun, infine, che a Gorizia viene chiamato Fulis o Velikonočne Fulje, è un altro “dolce-non dolce” della tradizione regionale: si tratta di polpettine allungate a base di pane raffermo cucinate nella stessa acqua di cottura del prosciutto e servite in brodo caldo. La ricetta prevede l’impiego di pane grattugiato grosso, brodo di maiale, burro fuso, uva passa, pinoli e tuorli d’uovo ai quali vengono spesso aggiunti anche erbe aromatiche, cannella e noce moscata.

 

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