Contratto TIM e costi di recesso: l’Associazione Consumatori Aiuto Telefoni spiega le ultime

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Ha destato molto interesse la recentissima ordinanza n°10039 della Corte di Cassazione del 29.3.2022, la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso della TIM avverso una sentenza del Tribunale di Trani che aveva dichiarato non dovuto l’importo di € 35 addebitato da TIM per i costi di recesso.

L’Avv. Davide Vendramin dell’ associazione di consumatori Aiuto Telefoni ci spiega le implicazioni di questa ordinanza.

Spiega l’avvocato che la Suprema Corte non entra nel merito, in quanto TIM aveva sollevato delle questioni nuove, facendo un uso scorretto del ricorso per Cassazione, ma solleva, in poche righe, un tema fondamentale.

Afferma la Cassazione “la clausola delle condizioni generali di contratto di cui si controverte non è stata riprodotta nel contratto e ciò impedisce a questa Corte di svolgere il compito istituzionale di cui il motivo di ricorso l’ha investita, vieppiù in considerazione del fatto che alcune delle argomentazioni implicano proprio la conoscenza del contenuto di detta clausola.”.

La Telecom aveva osservato che il contratto stipulato dal consumatore era “per adesione”. Il contratto per adesione è un contratto in cui il cliente accetta delle condizioni “preimpostate” e uguali per tutti, senza margini di trattativa. Secondo Tim, quindi, avendo il cliente senza dubbio accettato il contratto, aveva anche accettato tutte le condizioni ivi incluse, compresi i costi di  cessazione, che sono noti perché pubblicati sul sito internet di Tim e dell’Agcom.

La Corte ha osservato però che senza la produzione in giudizio del contratto non è nemmeno verificabile la presenza di tale clausola.

Il tema principale non è quindi tanto quello dei costi di recesso, ma quello della trasparenza tariffaria e della consapevolezza del consumatore nei contratti per adesione.

In altre parole, è inutile che Telecom (o gli altri operatori) si affannino a dimostrare l’esistenza delle clausole nei contratti, se non dimostrano che il consumatore vi abbia prestato il suo consapevole consenso. Si badi bene, non è forse necessario il consenso esplicito alla specifica clausola dei costi di recesso, ma almeno ad un contratto che, nel suo insieme, spieghi i costi di abbonamento e di chiusura del contratto.

Il tema della trasparenza tariffaria è infatti tanto sentito dall’Agcom e dalla disciplina di settore, quanto trascurato dagli operatori di telefonia (con poche eccezioni).

E si aggiunga che il noto art. 1, comma 3 del Decreto L 7/2007 (Decreto Bersani), convertito dalla L 40/2007, prevede che “(…)le spese relative al recesso o al  trasferimento  dell’utenza  ad  altro operatore sono (…) comunque  rese  note  al consumatore al momento della pubblicizzazione dell’offerta e in  fase di sottoscrizione del  contratto, (…)” La norma dice quindi che le spese di recesso devono essere rese note al consumatore con la pubblicità dell’offerta e in fase di sottoscrizione del contratto. La “e” congiunzione quindi chiarisce che la pubblicità sul sito non è sufficiente o alternativa all’accettazione del contratto, ma occorre che il consumatore, accetti consapevolmente il contratto con tutte le sue condizioni.Nella realtà invece ci sono molti contratti che traggono esecuzione da fatti concludenti o da telefonate prive della conferma richiesta dalla normativa sui contratti a distanza. Il tema dei costi di recesso resta sempre molto complesso e si rinvia al link per un approfondimento, ma nella maggior parte dei casi esistono le condizioni per non sopportare molti degli addebiti che ci vengono imposti alla conclusione del contratto. Nella maggior parte dei casi una istanza di conciliazione depositata su Conciliaweb può essere la soluzione vincente.

 

Avv. Davide Vendramin

Aiuto Telefoni www.risarcimenti-telecomunicazioni.it

 

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