Dott. Gilberto Ballerini: «Apparecchio acustico ancora poco accettato: ma sentire bene è una priorità da non trascurare»

Da una rilevazione del Censis, si stima che in Italia 7,3 milioni di persone soffrono di ipoacusia, la debolezza di udito che colpisce diverse fasce di età. Eppure, solo il 29,5% di chi è affetto da perdita parziale dell’udito fa uso di protesi acustiche e il 6% dei possessori di apparecchi afferma di non utilizzarli. Si evince quindi che una percentuale molto alta di persone che necessitano di un apparecchio acustico ha ancora grandi resistenze a indossarlo e, anzi, dichiara di non portarlo a causa della presenza di altre priorità.

«Poter sentire bene, invece, è una reale priorità e tale dovrebbe essere considerata», chiarisce il Dott. Gilberto Ballerini, tecnico audioprotesista e titolare con il Dott. Giuseppe Marazia di Audiomedical a Pistoia, da quasi 40 anni centro specializzato nell’applicazione e nell’adattamento degli apparecchi acustici.

«Non considerare la capacità di sentire bene un problema che tocca varie sfere della nostra vita, come la salute, la comunicazione o l’interazione con il prossimo è un grande errore. Un buon udito è fondamentale in quanto sono coinvolte la capacità di ascolto, di parola e la possibilità di esprimere noi stessi tout-court. Se viene a mancare il contatto con gli altri c’è il rischio di abbandonarsi all’isolamento, di vivere condizioni di alienazione che, soprattutto in età geriatrica, possono sfociare in patologie come la demenza o il deficit cognitivo. Quindi, l’utilizzo di apparecchi acustici non risolve soltanto un problema di comunicazione, ma attiene a tutta la sfera della salute. Da tali considerazioni si evince quanto sia complesso il problema e articolata la risposta, e dunque la soluzione, che noi audioprotesisti dobbiamo fornire alla persona».

Il ruolo del professionista, quindi, assume sempre più rilevanza nella presa in carico della persona debole di udito e nel suo percorso riabilitativo e in quest’ottica l’apparecchio acustico diventa lo strumento necessario per la comunicazione, a patto che la società lo percepisca come un valore imprescindibile e ne riconosca la grande importanza per ciò che riguarda la salute del singolo e, di conseguenza, dell’intero tessuto sociale.

Necessario quindi un intervento puntale: l’esame audiometrico, in tal senso, non andrebbe trascurato, ma anzi raccomandato: «Il mio consiglio – spiega Ballerini – è di sottoporsi a un controllo audiometrico almeno una volta l’anno, dopo i 50 anni. Superata questa età, infatti, avviene un lento e graduale deterioramento delle funzioni uditive: parliamo di presbiacusia, una condizione di cui spesso non ci rendiamo conto poiché la trasmissione del suono avviene regolarmente, ma peggiora in termini di qualità, per cui è poco percepita».

Rivolgersi a un esperto che si prenda in carico il problema della persona è la soluzione migliore: «Il tecnico audioprotesista, rifacendosi ai parametri stabiliti dall’Oms, che raccomanda l’intervento protesico a partire dal 30% di perdita dell’udito, durante la visita stima le reali necessità della persona per comprendere se c’è bisogno di un apparecchio. Parliamo di una visita di controllo molto approfondita: nel nostro studio, ad esempio, dura in media 30-40 minuti perché deve essere condotta con una profonda interazione col paziente in quanto entrano in gioco il suo stato di salute, la verifica dell’abbassamento di udito e un’opera di informazione e di prevenzione; l’obiettivo principale è infatti aiutare e insegnare ad essere responsabili della propria salute, e questo vale soprattutto per chi è reticente all’uso di protesi».

In Italia, infatti, il settore audioprotesico è un fiore all’occhiello del sistema sanitario nazionale. «Un plauso – conclude Ballerini – al nostro sistema sanitario che pensa alla persona come a un essere in grado di esercitare il libero arbitrio sui temi riguardanti la propria salute: i grandi risultati nel nostro settore, dal punto di vista del beneficio nell’uso dell’apparecchio acustico, non sarebbero stati raggiunti se non si considerasse primaria la centralità del paziente rispetto allo strumento».

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