Giuseppe Cannarozzo (Osve): “Sicurezza sul lavoro, controlli digitalizzati per far comprendere l’importanza della prevenzione”

Nonostante la crescente attenzione posta negli ultimi anni sui temi della sicurezza e della prevenzione, gli incidenti sul lavoro in Italia sono ancora molto frequenti. Basti pensare che – come rilevato dall’Inail – nei primi dieci mesi di quest’anno i morti sul lavoro sono stati 1.017 e le denunce di infortunio 448.110, quasi 27mila in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Ne parliamo con Giuseppe Cannarozzo, titolare di Osve Srl, società autorizzata con decreto del Ministero dello Sviluppo economico, attraverso accreditamento Accredia alle “verifiche periodiche e straordinarie ai sensi del DPR 462/01 su installazione e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, impianti di messa a terra alimentati fino a e oltre i 1000 V nelle aziende con la presenza di lavoratori”.

Ingegnere, siamo davanti a una contraddizione. Perché gli incidenti continuano ad aumentare nonostante la maggiore sensibilità sul tema?

“Perché la formazione, relazioni e certificazioni specifiche necessarie per la valutazione dei rischi, sono percepite come necessità e non gli si dedicano le dovute attenzioni. Purtroppo, ancora oggi, ci si concentra su questo tema quando si manifestano i problemi, gli incidenti e non in via preventiva, come sarebbe giusto fare. Il pericolo di infortuni è sottovalutato tanto dai datori di lavoro quanto dai lavoratori”.

Cosa si dovrebbe fare, quindi?

“Prima di fare formazione è necessario fare cultura sul tema. È fondamentale che imprenditori e lavoratori capiscano che la sicurezza sul lavoro è una necessità assoluta e non una tematica da trattare perché la legge lo richiede”.

A chi spetta il compito di fare cultura su questo tema?

“A tutti, alle associazioni datoriali e dei lavoratori oltre che alle istituzioni. L’Inail è molto attenta e fa un lavoro importantissimo attraverso i suoi tavoli tecnici e la produzione di dispense e linee guida complete ed esaustive. Il problema sta nella sottovalutazione del rischio da parte di chi agisce sul campo: troppo spesso si punta a conseguire ‘le carte’ invece che a preparare il proprio personale ad agire correttamente”.

Perché?  

“Oltre al fattore culturale, ci sono anche ragioni di carattere economico e organizzativo. Nelle aziende del nostro paese ci sono ancora molti macchinari vecchi, spesso costruiti prima del 1996 e quindi non conformi alla normativa sulla sicurezza. C’è un dato che dovrebbe far riflettere: gli incidenti avvengono nel 95% dei casi nelle piccole e medie imprese, mentre sono totalmente ridotti nel restante 5% nelle grandi imprese. Evidentemente la presenza di maggiori risorse economiche e di più personale dedicato fa sì che le imprese pongano maggiore attenzione sul tema della sicurezza”.

Quale potrebbe essere la soluzione?

“L’aumento dei controlli sicuramente spingerebbe le aziende ad essere più attente. Nonostante l’ampliamento del personale degli organi di vigilanza (previsto nel recente Decreto Sicurezza 146/2021) eseguire controlli fisici in milioni di aziende risulta impossibile, ma si potrebbero sfruttare di più le possibilità offerte dalla tecnologia con accertamenti effettuati in maniera digitale, magari attraverso l’invio di Pec e la richiesta della documentazione”.

Quindi con la richiesta di fornire documentazione online?

“Sì. Tutto ciò che contribuisca a far sì che le aziende percepiscano la prevenzione come elemento indispensabile per la gestione delle attività, compresa la richiesta di avere la valutazione dei rischi, certificazioni e attestati di formazione sempre aggiornati, può essere utile. La prassi di chiedere e condividere la documentazione con cadenza regolare, spingerebbe le aziende a tenerla aggiornata, mentre spessissimo capita che questa non riporti lo stato reale dei luoghi di lavoro, dei lavoratori, di attrezzature e macchinari, di impianti e processi produttivi”.

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