Agli Stati Generali di Agrifood il bicchiere è mezzo pieno grazie ai giovani e alla robustezza del settore

DCF 1.0

Un’occasione per fare il punto della situazione sull’agricoltura italiana. Questo il senso degli Stati Generali Mondo Lavoro Agrifood che hanno avuto luogo dal 27 al 29 ottobre ad Alba, Capitale della cultura di impresa per l’anno 2021. All’incontro inaugurale hanno partecipato il presidente INSOR Istituto Nazionale di Sociologia Rurale Lucio Fumagalli, Luca Brondelli di Confagricoltura, il direttore Confindustria Cuneo Giuliana Cirio e Fabiano Porcu, direttore Coldiretti Cuneo.

Nel corso del prestigioso consesso si è rimarcata l’importanza del settore che vale il 25% del PIL. Da sottolineare il dato positivo del +8% di nuove imprese fondate da Under 35 nel 2020, pari a oltre 55.000. Questo fa ben sperare riguardo all’innovazione e all’appeal del settore agricolo, nonostante il luogo comune che vuole questo settore poco attraente per i giovani. Secondo Fumagalli “l’agroalimentare italiano gode di ottima salute grazie ai fondamentali robusti e alla capacità italiana di fare sistema in ogni fase della filiera, dalla coltivazione fino al packaging. Dobbiamo evitare linearizzazione e standardizzazione. Ottimo l’export vitivinicolo con +7% a volume e +15% per il fatturato”.

Non sono tutte rose e fiori. Tra le principali criticità troviamo il costo del lavoro e la carenza di manodopera. A rappresentare un problema spinoso è anche la troppa burocrazia e il rischio di una omologazione dovuta alle politiche comunitarie. Tuttavia il settore ha continuato la sua attività durante i lockdown mantenendo i livelli occupazionali e usando quasi mai gli ammortizzatori sociali. Secondo Fabiano Porcu uno dei maggiori problemi è rappresentato dall’italian sounding, i prodotti stranieri che imitano quelli nostrani: l’export di questi vale ben 100 miliardi di Euro a fronte di solo 52 miliardi degli originali.

Giuliana Cirio, direttrice di Confindustria Cuneo, ha voluto ricordare che nella zona si fa attenzione sia alle materie prime che al capitale umano secondo i dettami della scuola Ferrero. I risultati lodano questa visione con la crescita dell’industria oltre il 10% e la disoccupazione al al 4%, vicino alla soglia fisiologica.

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