Dott. Francesco Raffelini: la ricostruzione biologica, nuova frontiera per la lussazione della clavicola

È una patologia piuttosto diffusa tra gli atleti, in particolare tra chi pratica sport come ciclismo, sci, ippica, motociclismo, calcio, hockey o rugby. La lussazione della clavicola o lussazione acromion claveare è la conseguenza solitamente di una caduta dall’alto verso il basso o di un contatto diretto forte sulla spalla: questo provoca la rottura più o meno completa di alcuni fasci legamentosi che mantengono uniti i capi contrapposti dell’acromion e della clavicola causando una dislocazione verso l’alto della clavicola che comporta dolore e l’impossibilità di muovere la spalla. “È un trauma – conferma il dottor Francesco Raffelini, medico chirurgo specialista nel campo dell’Ortopedia e della Traumatologia a Firenze, Genova e Chiavari – la cui incidenza aumenta molto nel periodo primaverile ed estivo quando cresce l’utilizzo della bicicletta e possono avvenire cadute. Ci sono diversi gradi di lussazione, misurati  tramite la classificazione di Rockwood: si va dall’allungamento dei legamenti fino ad una lesione completa. Nei casi più gravi occorre intervenire chirurgicamente”.

Il fine dell’operazione chirurgica è quello di ripristinare il livello funzionale e di mantenere stabile ed elastica l’articolazione; fino a qualche anno fa la tecnica più diffusa era quella di inserire delle placche ad uncino per tenere insieme i legamenti. Oggi esiste anche una nuova possibilità che è quella dell’innesto (graft) di materiale biologico per ricostruire anatomicamente i legamenti delle articolazioni. “Il grande pregio di questa tecnica – precisa il dottor Raffelini – è di cercare di ripristinare l’anatomia originaria dell’articolazione così da permettere un ottimo recupero della mobilità. Nel contempo la soluzione è stabile e duratura senza utilizzare viti o placche che potrebbero portare infezioni, dolore post operatorio o fallimenti secondari”.

Ma come fare a reperire il materiale o innesto (graft) biologico? “Per la ricostruzione – spiega il dottor Raffelini – vengono utilizzati tendini da donatore, a cuor battente o meno, che sono conservati nelle cosiddette Banche dell’osso o Banche del tessuto muscolare scheletrico. Il tendine prelevato deve essere precedentemente trattato sia per garantire la sterilità assoluta, sia per renderlo fisicamente adatto agli spazi creati per l’innesto. In alcuni casi vengono anche eseguiti “graft” con materiali sintetici ma sono fondamentali l’esperienza e la competenza del chirurgo per stabilire, a seconda di ogni caso, la tecnica e la modalità più adeguate per ottenere il miglior risultato possibile”.

Il recupero post operatorio può essere un po’ più lungo rispetto ad altre tecniche operatorie: “Occorre aspettare che il tessuto attecchisca – conclude Francesco Raffelini – in genere un periodo di circa 3 mesi ma poi il ripristino della funzionalità della spalla è ottimale. Personalmente sono dell’idea di non forzare mai i tempi di recupero così da raggiungere, seguendo i ritmi giusti, il risultato ideale”.

 

 

 

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