Avv. Luigi Parenti di Roma: «Risarcimento in caso di infortunio in home working: solo se esiste prova certa del nesso tra incidente e attività lavorativa»

avv. luigi parenti
Avv. Luigi Parenti

Lo smart working è diventato una modalità di lavoro particolarmente diffusa negli ultimi tempi: secondo gli ultimi dati statistici attualmente quasi il 40% dei lavoratori dei settori sia pubblici sia privati opera da casa. Ma cosa succede se il lavoratore subisce un infortunio nella propria abitazione mentre sta lavorando? E, soprattutto, ha diritto a un riconoscimento in caso di danno fisico? Lo chiediamo all’avv. Luigi Parenti, titolare dello storico studio legale di Roma e di una sede a Milano, che svolge assistenza legale ad ampio raggio in ogni branca del diritto, sia civile sia penale, annoverando competenze specialistiche anche nel settore amministrativo e tributario.

«Ad oggi – spiega – mancano esaustive regolamentazioni in tema di sicurezza, orario, diritto alla disconnessione: dobbiamo dire che lo smart working è una modalità particolare che non è stata molto considerata nei tempi passati e tantomeno è stato contemplato il verificarsi di un infortunio in tale circostanza. Mi torna alla mente un caso del settembre del 2020 in cui una lavoratrice di Treviso, occupata a prestare lavoro in smart working, inciampò rovinosamente sulle scale della propria abitazione riportando considerevoli danni fisici».

Un caso che ha aperto nuovi scenari legislativi in quanto la signora affermò di essere caduta mentre era intenta a risolvere un problema lavorativo, interloquendo al telefono con una collega. L’INAIL inizialmente non riconobbe l’infortunio sul lavoro e respinse la richiesta di indennizzo, ma a fronte del ricorso amministrativo della lavoratrice per il riesame della pratica e la catalogazione della vicenda come infortunio collegato ad attività lavorativa, riconobbe il nesso di causalità tra evento dannoso e mansioni lavorative e consentì che venissero riconosciuti alla donna i giorni di malattia, un risarcimento di 20mila euro e visite e terapie gratuite per 10 anni.

«Si tratta di un caso storico che sicuramente fungerà da riferimento e da precedente per tutti quei lavoratori che sempre più numerosi si vedono costretti a lavorare dalla propria abitazione. L’incidente di questa persona è stato riconosciuto dall’INAIL poiché la lavoratrice è riuscita a provare la stretta correlazione tra infortunio e attività lavorativa, ma ciascuna situazione va valutata caso per caso».

Provare che l’infortunio è avvenuto durante l’attività lavorativa spetta, quindi, al lavoratore, ma la materia è complessa e in divenire.

«Noi avvocati siamo in attesa di una regolamentazione precisa da parte del Governo per quanto riguarda il telelavoro, le modalità di svolgimento e gli orari. Saranno sicuramente varate delle norme perché il lavoro da casa è sempre più una realtà consolidata che ha bisogno di leggi chiare. Proprio perché non esistono norme, il ruolo dell’avvocato è fondamentale in quanto permette al lavoratore di ricevere un’assistenza puntuale e nel contempo lo richiama a un comportamento etico e trasparente. Ciò vuol dire chiarire col proprio assistito le vere dinamiche dell’incidente e pretendere una prova formale e rigorosa che dimostri che l’evento è avvenuto perché si trovava in ambito lavorativo. È necessario, quindi, il nesso di causalità: in caso contrario è inutile fare ricorso, perché il giudice in assenza di prove certe potrebbe rigettare la richiesta».

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