Siamo ancora alle prese con un’emergenza sanitaria scandita da numeri freddi ed impietosi, che evocano dolore, sgomento e sforzi umani e professionali di chi, tra noi tutti, opera in primissima linea per sconfiggere il nemico invisibile che sta cambiando il mondo.
Sono medici e infermieri, volontari che guidano ambulanze, operatori socio-sanitari che assistono persone che si ammalano non solo della patologia del millennio, individui che si preoccupano ogni giorno di fornire e distribuire generi di prima necessità, dagli alimentari alle farmacie.
Ma sono anche uomini e donne che non hanno mai smesso di lavorare, operai, professionisti e imprenditori, che sono ancora ai loro posti, a casa o in azienda poco conta, e tengono ben salda quella filiera produttiva e di servizi che consente al Paese di “andare avanti”.
Nonostante.
Nonostante gli errori ed il caos di una politica, incapace di immaginare il futuro con schemi diversi da quelli del passato, appiattita sull’alibi dell’emergenza e che si autoassolve di fronte ad eventi (imprevedibili?), siano essi mascherine taroccate o un click day targato INPS da incubo: perché se è vero che “solo chi fa sbaglia”, è ancor più vero che chi non prepara fin da subito il proprio e l’altrui futuro commette errori gravissimi e spesso irreversibili.
“Andare avanti” nonostante.
Nonostante una politica che sta “abdicando” di fronte ad una ancor più caotica “tecnocrazia”, lasciando spazio e primato delle scelte alla “presunta” scienza, quella che, al contrario, avrebbe dovuto prevedere e risolvere in anticipo i problemi, invece di offrire pareri discordanti e spesso opposti sul “male” e sui suoi rimedi.
Ma nonostante il navigare in un mare ancora forza 9, c’è chi già pensa al “dopo” e desidera dirigere con fermezza il timone di una nave, talvolta in balia delle onde e pericolante di fronte all’urto dei loro schiaffi spumeggianti e violenti, per tentare di governarne la rotta salvando passeggeri ed equipaggio.
E il dopo è già “qui ed ora”, un disegno che prende forma intorno a quelle che definirei le “keywords del futuro”.
Una di queste parole chiave che difficilmente ci abbandoneranno è sicuramente “distanziamento”, un termine che fino a ieri aveva una accezione senz’altro più negativa che positiva, ma che oggi è considerato un concetto “salvavita”.
Abbiamo fatto conoscenza con il distanziamento “sociale”, quel metro che ci dovrebbe garantire l’incolumità e farci continuare a vivere a contatto con gli altri, un contatto fatto di sguardi e gesti, più che di strette di mano e pacche sulla spalla.
La nostra vita a un metro di distanza dall’altro ci tutela dal male fisico, ma non ci rende immuni dal riflettere su come sia cambiata la nostra vita più intima e di relazione.
Ecco che il distanziamento da “sociale” diviene “emotivo”: ci mancano gli abbracci e i baci, ma sappiamo riconoscere i diritti dell’altro da noi, quell’individuo che osserviamo a distanza e che riconosciamo come tale, avente gli stessi diritti e doveri nostri, meritevole di rispetto e considerazione, proprio come noi lo avevamo preteso dagli altri, sempre e comunque.
Continueremo a rispettare le file al supermercato, ad aprire porte dei negozi e degli uffici alle persone che ci precedono, a dire più “prego si accomodi” che “permesso”, a dare la precedenza ai pedoni e a parcheggiare la propria auto in maniera perfetta, a farci più indietro e di lato piuttosto che cercare di andare sempre più “davanti” a qualcuno, a parlare dopo aver ascoltato senza interrompere.
Tutti gesti che scaricheranno a terra l’emozione generata da un distaccamento sociale imposto per decreto legge e che faranno parte sempre di più del nostro pensare e agire.
Distaccamento “sociale”, “emotivo” e, quindi “razionale”.
Abbiamo fatto i conti con le fake news, con concetti come “autorevolezza delle fonti informative” ed il valore della buona informazione.
Abbiamo utilizzato tecnologie digitali nel lavoro e nel tempo libero, ma non restandone succubi o ipnotizzati dal loro fascino subdolo, bensì cercando di dominarle per governare il nostro desiderio di informarci prima di agire, di conoscere per scegliere i comportamenti giusti e corretti, di capire per distinguersi e distinguere.
Abbiamo celebrato la nostra “Brexit” personale da ogni device, smartphone, computer e TV interattiva, un distacco “razionale” che non ci abbandonerà più nel nostro vivere quotidiano, e trasformerà anche il lavoro da smart working a smart thinking.
Per noi individui, professionisti, imprese e semplici cittadini “on e off line”, sopravvissuti al Vecchio Mondo, il “distanziamento” farà davvero la differenza, nel lavoro e nelle piccole e grandi abitudini, sarà un punto di non ritorno a cui è necessario prepararsi fin da subito.
Come?
Privilegiando i contenuti informativi di qualità, considerando un tutt’uno il mondo che circola fisicamente fuori le nostre case e quello immateriale che viaggia sul web, scegliendo come e quando agire solo dopo essersi informati ed aver confrontato obiettivamente e senza pregiudizi le varie opzioni, sia in termini di idee che di prodotti e servizi, rispettando l’altro come portatore d’interessi con le stesse qualità e potenzialità nostre, lavorando sul confronto “a distanza”, senza il timore di restare influenzati e contagiati dalle idee differenti dalle nostre.
Abituarsi, in definitiva, a fare amicizia con il distanziamento razionale, che segue quello sociale ed emotivo, che non sarà più necessario imporre per legge, ma diverrà una Stella Polare per adottare schemi logici totalmente diversi rispetto al passato.
Perché non possiamo più permetterci di guidare a 200 all’ora continuando a guardare nello specchietto retrovisore.
Tamponare violentemente chi ci precede e viaggia più lenti di noi è un lusso che non possiamo più permetterci.