Umbria: cultura e territorio per guardare al futuro

L’Umbria manca di capacità di attrazione di persone, risorse e capitali pur avendo risorse importanti come la bellezza paesaggistica e il patrimonio storico-culturale. E’ questo quanto emerso nel corso del seminario ‘Identità umbra e carisma dei luoghi’, che è stato organizzato da ‘AUR&S’ (rivista semestrale dell’Agenzia Umbria Ricerche’) a palazzo Cesaroni a Perugia.

“In un’epoca dove la competitività si è spostata dalle imprese ai territori – ha sottolineato Elisabetta Tondini (responsabile dell’area Economica e sociale Aur), una dei due relatori – l’attrattiva territoriale è diventata strategica nel garantire il presidio di attività economiche e persone qualificate, di scambi di conoscenze e stimoli, continui e duraturi”. L’Umbria però anche se ha un buon ritorno in termine di immagine, con un indice di brand ‘buono’ , ha un indice di attrattività di persone, risorse e capitali basso (come altre 13 regioni in Italia). A frenare la sua capacità di attrazione sono lo stato delle infrastrutture, in particolare quelle ferroviarie, la mancanza di grandi agglomerati urbani e quindi degli effetti corroboranti delle economie urbane con la loro capacità di alimentare e far circolare importanti flussi di persone, attività, conoscenza.

Non mancano però punti di forza come il ricchissimo patrimonio artistico e culturale e le “meravigliose aree rarefatte, luoghi ideali per ispirare menti creative”. Ed è proprio su tali aspetti che secondo Tondini bisognerebbe puntare per trasformare l’immagine dell’Umbria da ‘terra del saper fare’ a ‘terra del saper creare’.

La bellezza e la cultura, come ha sottolineato l’altro relatore Mauro Casavecchia (responsabile dell’area Sviluppo locale e innovazione AUR), sono grandi opportunità per la rivitalizzazione sociale ed economica dei territori.  

“L’Umbria  è una regione ricca di ‘luoghi’, vale a dire di spazi dotati di caratteri distintivi e carichi di significato – in contrapposizione ai ‘nonluoghi’, privi di storia e di anima – e dunque ha conservato una forte impronta identitaria. Non solo per il suo assetto meno densamente urbanizzato e più a misura d’uomo (l’Umbria verde), ma anche per la vasta diffusione sul territorio di arte e cultura sedimentate nel tempo” ha affermato Casavecchia.

L’abbondanza di armonia e bellezza si rivela però anche un limite perché porta a “sottovalutare la  possibilità di porre questi elementi come asset fondamentali del nostro modello di sviluppo, proprio nel momento in cui si fa strada nel mondo l’idea di considerare creatività e cultura non solo come beni da tutelare, ma come strumenti di crescita economica”. Per Casavecchia si assiste invece “a un generale disinvestimento nella spesa pubblica per le attività culturali e al prevalere di una logica di tutela e conservazione del passato e di pigro sfruttamento della rendita, piuttosto che a un uso dei beni culturali innovativo e proiettato verso il futuro” quando invece bisognerebbe  “trattare la cultura non più come mero prodotto da commercializzare, ma come risorsa da rigenerare e rimettere in circolo”.

E a raccontare il rapporto speciale con tale terra sono intervenuti Giulio Rapetti Mogol (paroliere, scrittore e produttore discografico e fondatore del CET nelle campagne di Avigliano Umbro), Chiara Lungarotti (amministratore unico delle aziende del gruppo omonimo) e Padre Enzo Fortunato (direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi).

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