Crescono gli EET d’Italia

Non è una guerra spietata tra chi ce l’ha fatta e chi no. In Italia il problema della disoccupazione e dei Neet (Not in education, employment or training) è causato da una molteplicità di fattori che non sempre hanno a che fare con le capacità individuali, ma riguardano il contesto economico e familiare, la regione di provenienza e molto altro.

Fatto sta che esiste un acronimo opposto a quello di Neet ed è Eet (Employes-Educated and Trained), che sta ad indicare coloro che una volta formati sono riusciti ad inventarsi un lavoro entrando in modo più o meno stabile nel mondo imprenditoriale e delle professioni. Secondo recenti calcoli, e come riportato dall’“Huffington Post” sono oltre 2 milioni e seicentomila, e contribuiscono per il 2,8% al Pil nazionale.

La distribuzione geografica mostra un dato forse sorprendente. Tra gli Eet, infatti, il 24,7% è presente nel Nord-ovest, il 15,7% nel Nord-est, mentre scendendo nelle regioni del Sud la quota raggiunge il 41,1%. La ragione è piuttosto semplice: al Sud un lavoro spesso si è costretti davvero ad inventarselo in mancanza di aziende capaci di assumere una cospicua fetta di forza-lavoro, come accade più di frequente nelle regioni del nord.

Dando un’occhiata ai settori produttivi prescelti, secondo dati Censis, le imprese nei servizi informatici e di comunicazione gestite da giovani sono cresciute del 50%, quelle impegnate nella ristorazione del 25%, mentre un balzo incredibile riguarda le imprese di giovani che gestiscono servizi di intermediazione e di ufficio (+113%), effetto questo di un’esternalizzazione sempre più accentuata di alcune tipologie di lavoro.

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