Il business in casa propria

Per i più giovani è diventato un punto di riferimento assoluto. Airbnb, il portale online nato nel 2008 negli Usa, che mette in contatto domanda e offerta di alloggi, è cresciuto esponenzialmente anche in Italia.

Secondo i dati ufficiali, riportati dalla community Sociometrica, parte della stessa Airbnb, il fenomeno vale in Italia lo 0,22% del PIL, 3,4 miliardi. Una cifra molto alta se si pensa che solo fino a qualche anno fa questa modalità di soggiorno abitativo non era ancora così diffusa. Gli italiani che nel 2015 hanno scelto di dare ospitalità sono oltre 80.000 (il 25% di questi solo tra Roma e Milano), e mediamente hanno guadagnato nell’anno solare 2.300 euro, per un periodo di soggiorno condiviso di 26 notti.

I clienti, sempre secondo la ricerca, arrivano principalmente da Europa e Stati Uniti e sono stati in tutto 3,6 milioni. Airbnb – che in altri paesi al mondo, come la Germania, deve affrontare ben altri problemi (a Berlino è vietato l’affitto libero in assenza di un’apposita licenza) – calcola anche che dagli ospiti delle case sono stati spesi in Italia 2,13 miliardi di euro, di cui circa un terzo in bar e ristoranti. Inoltre il risparmio energetico (per il fatto di condividere lo stesso spazio e di non occupare una stanza d’albergo o altra struttura) è pari al consumo di 52 milioni di case, senza contare il risparmio sula spazzatura.

Per coloro che hanno una stanza in più da affittare o un salotto ampio e abitano nelle grandi città (Roma, Milano, Firenze più delle altre), ospitare per due o tre notti qualcuno può dunque rappresentare una piccola entrata in più mensile.

Le strutture alberghiere temono un po’ la concorrenza, anche se al momento le due modalità di soggiorno non sembrano alternative l’una all’altra.

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