Cinquemila aziende agricole toscane rischiano la chiusura a causa del conflitto in Ucraina. La guerra costa mediamente 14.358 euro in più le imprese a causa dei rincari dei costi di produzione, che superano quanto viene pagato agli agricoltori e agli allevatori per i loro prodotti. Lo dice Coldiretti Toscana su dati Crea, in riferimento alla guerra in Ucraina dopo la pandemia.
“La guerra in Ucraina ha sconvolto i mercati agricoli ed energetici costringendo l’Europa, ed il nostro Paese, ad un cambio istantaneo di strategie e le imprese ad un nuovo periodo di grande sofferenza – analizza Fabrizio Filippi, presidente Coldiretti Toscana – L’aumento schizofrenico dei prezzi, in particolare di quelli dell’energia, fertilizzanti e mangimi, iniziato già prima dell’avvio del conflitto, sta compromettendo la capacità economica delle aziende agricole che non hanno più la forza per coprire i costi fissi e di far fronte ai debiti di funzionamento. Oggi abbiamo un incremento esponenziale delle aziende che, a queste condizioni, chiuderanno i bilanci con un reddito netto negativo molto pesante che significa sospensione o peggio ancora chiusura delle attività. E’ necessario intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con interventi immediati e strutturali per salvare aziende e stalle. Occorre lavorare da subito – prosegue Filippi – per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”.
Secondo l’indagine Crea, l’11 per cento delle aziende agricole potrebbe cessare l’attività, il 38 per cento si trova a dover lavorare in condizioni negative di reddito, con conseguenze non solo produttive, ma anche di occupazione. Prima di questa fase congiunturale, le aziende che avevano un reddito negativo erano circa il 9 per cento. Gli aumenti dei costi vanno dal +170 per cento dei concimi al +90 per cento dei mangimi, al +129 per cento del gasolio, con incrementi dei costi correnti di più di 15.700 euro in media, ma con punte di oltre 47 mila euro per le stalle da latte e picchi di 99 mila euro per chi ha allevamenti di polli.
I più penalizzati sono coloro che hanno coltivazioni di cereali, ma sono in difficoltà pure serre e vivai e stalle da late. L’Italia rischia di dover aumentare la dipendenza dall’estero, quando già importa il 64 per cento di grano per il pane, il 44 per cento per la pasta, il 16 per cento del latte consumato, il 49 per cento della carne bovina e il 38 per cento di quella di maiale. Si copre il 53 del fabbisogno nazionale con i raccolti di mais e il 27 per cento con quelli di soia, secondo l’analisi del Centro studi Divulga.
Per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori, ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende in media ad appena 6 centesimi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea. Dal grano al pane il prezzo aumenta di 13 volte. Secondo Coldiretti Toscana, è necessario “investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità che minaccia il 30% delle produzioni agricole regionali ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le Nbt a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.