Nel 2022 produrre grano costerà agli agricoltori pugliesi 400 Euro in più per ogni ettaro, a causa del drastico aumento dei costi energetici che si riflette a cascata dalle sementi al gasolio fino ai fertilizzanti e persino ai ricambi dei macchinari per semina e aratura. Questo rischia di mettere in crisi una regione soprannominata a buon diritto “Granaio d’Italia” con 360.000 ettari coltivati e quasi 10 milioni di quintali prodotti.
Secondo Coldiretti Puglia, la domanda di grano italiano è molto alta ma penalizzata dal cronico abbandono che negli ultimi dieci anni ha fatto scomparire il 20% della superficie coltivata, pari a mezzo milione di ettari. Questo ha condotto a effetti devastanti sull’economia e sull’occupazione, con il dilagare dall’estero di prodotti con standard produttivi decisamente più bassi di quelli nostrani. I prezzi delle sementi di grano duro sono aumentati del 35%, quelli di grano tenero del 15% mentre i carburanti sfiorano il 50%, stando ai dati di Consorzi Agrari d’Italia.
Non va meglio per il gas che ha fatto schizzare i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata, il fosfato biammonico Dap raddoppiato da 350 a 700 euro a tonnellata, i prodotti di estrazione come il perfosfato minerale al +65%. Per quanto riguarda i fitosanitari l’aumento è del 10-15% ma si teme che la situazione peggiorerà in primavera. Come risultato il grano ha sforato quota 50 Euro a quintale ma viene comunque prodotto in perdita.
Come sintetizza Maddalena Rignanese Rinaldi, componente di Coldiretti Puglia in sede CUN, “lo scenario è già fortemente critico e preoccupa la reiterata assenza dei pastai al tavolo della CUN sperimentale”. C’è il timore che non si riesca a procedere ad una corretta valutazione dell’andamento del mercato perché l’acquirente non procede alla quotazione sul listino. “Con la CUN dovremmo riportare in trasparenza costi di produzione e prezzi del grano, sottoposto a speculazioni inaccettabili, oltre a controlli serrati con una cabina di regia coordinata tra ICQRF, NAS, ASL e gli organi deputati alle verifiche”. Coldiretti ha la sua ricetta per venirne fuori: accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore.