Con l’aumento del prezzo dei costi di produzione e con la materie prime che costano come il petrolio, oggi scopriamo che il grano scarseggia “e ci dobbiamo abituare al fatto che possa finire” e che “il grano italiano al momento è quello che costa meno al mondo”. La strada più corretta sarebbe dunque quella di rivolersi alle aziende agricole italiane, ma così non accade. A prendere il prezioso frumento duro made in Italy sono infatti le imprese della Tunisia dove, “all’ultima asta è stato venduto parecchio grano italiano alle industrie locali perché lo pagano meglio”.
A parlare è Riccardo Felicetti, ad dell’omonimo pastificio e presidente del Gruppo Pasta in Unionfood, in un’intervista al Sole24Ore: “”E’ la legge del mercato certo, ma in un momento di scarsità come quello di oggi, forse queste cose non dovrebbero succedere”. La colpa sarebbe di nuovo degli agricoltori, dunque. Prima non producevano garantendo gli standard richiesti dall’industria, oggi “si permettono” di vendere alle industrie tunisine che, forse, sono più lungimiranti e pagano il giusto per un prodotto di qualità. Gli stessi industriali (sul quotidiano economico c’è anche un’intervista a Divella) riconoscono che il grano acquistato dal Canada costa 65 centesimi contro i 56 di quello italiano.
Felicetti fa sapere oggi che l’industria tunisina ama il grano italiano, nel 2016 quando era presidente di Aidepi, esprimeva delusione sull’etichetta e pronosticava una perdita di competitività della pasta sul mercato nazionale e internazionale. L’obbligo a rifornirsi sui mercato esteri era la logica conseguenza. Sei anni dopo si scopre che sono i tunisini a ‘scippare’ le eccellenze italiane e, secondo Felicetti, questo non si dovrebbe fare.
C’è grande confusione, quindi. I consumatori però intanto vanno avanti e preferiscono sempre di più le confezioni realizzate con il grano duro nazionale o regionale. L’etichetta sostiene addirittura la crescita della pasta tricolore.
Le polemiche ora non ci vorrebbero, sarebbe meglio rilanciare sui contratti di filiera riconoscendo qualità e prezzo giusto alla produzione nostrana. Sarebbe il momento di riconoscere che Coldiretti aveva ragione: solo difendendo il Made in Italy si salverà la nostra agricoltura.