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Dott. Gilberto Ballerini: «Apparecchio acustico ancora poco accettato: ma sentire bene è una priorità da non trascurare»

di Redazione
14/01/2022
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Da una rilevazione del Censis, si stima che in Italia 7,3 milioni di persone soffrono di ipoacusia, la debolezza di udito che colpisce diverse fasce di età. Eppure, solo il 29,5% di chi è affetto da perdita parziale dell’udito fa uso di protesi acustiche e il 6% dei possessori di apparecchi afferma di non utilizzarli. Si evince quindi che una percentuale molto alta di persone che necessitano di un apparecchio acustico ha ancora grandi resistenze a indossarlo e, anzi, dichiara di non portarlo a causa della presenza di altre priorità.

«Poter sentire bene, invece, è una reale priorità e tale dovrebbe essere considerata», chiarisce il Dott. Gilberto Ballerini, tecnico audioprotesista e titolare con il Dott. Giuseppe Marazia di Audiomedical a Pistoia, da quasi 40 anni centro specializzato nell’applicazione e nell’adattamento degli apparecchi acustici.

«Non considerare la capacità di sentire bene un problema che tocca varie sfere della nostra vita, come la salute, la comunicazione o l’interazione con il prossimo è un grande errore. Un buon udito è fondamentale in quanto sono coinvolte la capacità di ascolto, di parola e la possibilità di esprimere noi stessi tout-court. Se viene a mancare il contatto con gli altri c’è il rischio di abbandonarsi all’isolamento, di vivere condizioni di alienazione che, soprattutto in età geriatrica, possono sfociare in patologie come la demenza o il deficit cognitivo. Quindi, l’utilizzo di apparecchi acustici non risolve soltanto un problema di comunicazione, ma attiene a tutta la sfera della salute. Da tali considerazioni si evince quanto sia complesso il problema e articolata la risposta, e dunque la soluzione, che noi audioprotesisti dobbiamo fornire alla persona».

Il ruolo del professionista, quindi, assume sempre più rilevanza nella presa in carico della persona debole di udito e nel suo percorso riabilitativo e in quest’ottica l’apparecchio acustico diventa lo strumento necessario per la comunicazione, a patto che la società lo percepisca come un valore imprescindibile e ne riconosca la grande importanza per ciò che riguarda la salute del singolo e, di conseguenza, dell’intero tessuto sociale.

Necessario quindi un intervento puntale: l’esame audiometrico, in tal senso, non andrebbe trascurato, ma anzi raccomandato: «Il mio consiglio – spiega Ballerini – è di sottoporsi a un controllo audiometrico almeno una volta l’anno, dopo i 50 anni. Superata questa età, infatti, avviene un lento e graduale deterioramento delle funzioni uditive: parliamo di presbiacusia, una condizione di cui spesso non ci rendiamo conto poiché la trasmissione del suono avviene regolarmente, ma peggiora in termini di qualità, per cui è poco percepita».

Rivolgersi a un esperto che si prenda in carico il problema della persona è la soluzione migliore: «Il tecnico audioprotesista, rifacendosi ai parametri stabiliti dall’Oms, che raccomanda l’intervento protesico a partire dal 30% di perdita dell’udito, durante la visita stima le reali necessità della persona per comprendere se c’è bisogno di un apparecchio. Parliamo di una visita di controllo molto approfondita: nel nostro studio, ad esempio, dura in media 30-40 minuti perché deve essere condotta con una profonda interazione col paziente in quanto entrano in gioco il suo stato di salute, la verifica dell’abbassamento di udito e un’opera di informazione e di prevenzione; l’obiettivo principale è infatti aiutare e insegnare ad essere responsabili della propria salute, e questo vale soprattutto per chi è reticente all’uso di protesi».

In Italia, infatti, il settore audioprotesico è un fiore all’occhiello del sistema sanitario nazionale. «Un plauso – conclude Ballerini – al nostro sistema sanitario che pensa alla persona come a un essere in grado di esercitare il libero arbitrio sui temi riguardanti la propria salute: i grandi risultati nel nostro settore, dal punto di vista del beneficio nell’uso dell’apparecchio acustico, non sarebbero stati raggiunti se non si considerasse primaria la centralità del paziente rispetto allo strumento».

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