Le nuove coltivazioni si vedono ad occhio nudo nelle pianure della regione, con piante basse, ordinate: sempre più ettari in Umbria, ma non solo, vengono utilizzati per piantarvi le nocciole. File e file di piantine, che inizieranno tra poco, a fare frutti. Perché questa nuova “mania”? E’ che il mercato del settore si è mosso improvvisamente, da quando nelle confezioni di prodotti alimentari, come quelli di Nutella e Loacker, deve essere scritto che tutto è realizzato con prodotti Italiani. Sino ad ora le due società importavano a piene mani dalla Turchia e da qualche altro paese caucasico, in maniera così massiccia da assorbire almeno i tre quarti del mercato mondiale delle nocciole e così la loro richiesta s’è fatta pressante. Le nuove piantagioni hanno trovato spazio nei terreni dell’Umbria che aspettano un impiego un po’ più remunerativo del frumento ed anche una sostituzione del tabacco, che ha fatto la fortuna degli agricoltori in passato, ma che ora ha molte, moltissime difficoltà, sia da un punto di vista etico che da quello produttivo. Insomma, le nocciole. Sempre nella verde Umbria si sono costituiti due consorzi, che fanno capo alle due aziende di riferimento, consorzi che riescono a strappare contratti convenienti per non lasciarsi “irretire” dalla monoproduzione, che per certi versi è remunerativa ma anche di grande pericolo se mai ci fosse una qualche crisi. Così gli agricoltori regionali, ottimamente, si sono coalizzati per discutere con le multinazionali cercando, anzi una collaborazione con loro, cosa che conviene a tutti. Quanti sono gli ettari che sono stati spinti nel mondo della nocciola? Sempre in Umbria, almeno duemila ma altrettanti verranno in quanto le domande di acquisto delle piantine sono sempre sostenute. La coltivazione, tra l’altro, metterebbe in moto anche altre attività secondarie, come quelle di primo trattamento delle nocciole, che in alcuni casi devono essere vendute senza guscio, il che alimenterebbe ancora occupazione. Tra l’altro come tutti immaginano, non è che le piante non abbisognano di nulla: devono essere accudite con tutto quello che ne consegue in termini occupazionali. Un’età dell’oro, quindi? Beh nei due consorzi sono davvero molto cauti nel senso che la coltivazione è difficile, che ancora le aziende sono nelle fase degli investimenti e che un ritorno economico si potrà vedere solo tra tre, quattro anni. Ma la strada è quella, la diversificazione e la ricerca di opportunità più remunerative per un settore, quello primario, che tende a riacquistare occupati e reddito.
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