Il giro d’affari del commercio elettronico, in Italia, nel 2020 ha raggiunto i 48,25 miliardi di euro (dati Caseleggio Associati), ma le piccole e medie imprese ancora non sono riuscite del tutto a sfruttare questo strumento dalle grandi potenzialità. Secondo il Desi (Digital economy and società index), infatti, per le vendite le Pmi italiane sono al 26esimo posto su 28. Il Desi è un indice messo a punto dalla Commissione europea per calcolare la digitalizzazione delle imprese europee. L’Italia è molto indietro rispetto a Irlanda, Germania e Regno Unito. Non solo: le stesse aziende hanno pesanti ritardi nella presenza sul web per analisi di Big Data e nell’adozione di infrastrutture tecnologiche avanzate.
Così Federica Argentieri, Ceo Founder di Timotico, società di comunicazione integrata su internet: “Ci sono aziende, anche molto affermate da generazioni, che si trovano in crisi dal momento che la
concorrenza online gli sta rubando grossissime fette di mercato”. Pare che le nostre aziende non sappiano sfruttare i mezzi di marketing e di comunicazione digitale che sono disponibili per chi utilizza il web. “Per esempio, benché l’80% delle Pmi affermi di avere un proprio sito web, sono poche quelle con siti ottimizzati, performanti anche su mobile e costantemente aggiornati”, prosegue Argentieri. Questo accade pur se sono ben 50 milioni gli italiani connessi ogni giorno.
La pandemia ha spinto molti a innovare, ma in molti casi si è trattato di una risposta istintiva all’emergenza, senza visione strategica. “Abbiamo assistito a un cambiamento epocale, al quale altri Paesi europei erano già pronti, mentre l’Italia purtroppo è rimasta indietro e ha dovuto reagire in extremis” sottolinea l’esperta. È stato quindi difficile anche trovare professionisti a cui affidare il marketing. “Ci è capitato di parlare con più imprenditori che facevano gestire i canali social al nipote solo perché “sa usarli” – prosegue Argentieri – ma c’è differenza tra saper condividere un contenuto sui social e saperlo fare a scopo di business e in maniera professionale”.
Anche spendere tanto in promozione non è sufficiente se non sono curati nel dettaglio i contenuti da proporre, differenziati a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere e del mezzo al quale rivolgersi per comunicarli. Può anche essere controproducente, causando perdite economiche e di reputazione. La soluzione è affidarsi a veri esperti che sappiano creare un piano per produzione e distribuzione di contenuti testuali, audio-video, foto, grafiche sui siti web, blog, e-commerce e social, coerente con il brand dell’azienda. Argentieri aggiunge: “Un errore frequente da parte delle aziende è pubblicare sui social solo contenuti promozionali che, alla lunga, non fanno che stancare il pubblico, con la conseguente penalizzazione da parte della piattaforma”.
Serve la costruzione di una narrativa: “È fondamentale alternare contenuti diversi e arricchirli con informazioni utili e di intrattenimento per le persone, in una proporzione del “70/30”: 70% di contenuti reputazionali, ispirazionali, informativi e che coinvolgano sempre di più l’audience e 30% di contenuti destinati alla vendita pura”. Bisogna fidelizzare il cliente, che va trattato come parte attiva del processo: “Non bisogna abbandonare la propria audience per mesi, per poi riapparire sotto Natale con le nuove promozioni: un comportamento di questo tipo non è gradito né dal pubblico, né dagli algoritmi delle piattaforme social che ridurranno la visibilità dei post e le possibilità che il prodotto venga visto e, conseguentemente, venduto”, conclude Federica Argentieri.