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Napoli: la tradizione delle Banche dell’Acqua Da ambulanti a stanziali, gli acquafrescai continuano a esistere nei quartieri della città partenopea. Ecco cosa vendono

di Alessandro Pignatelli
16/08/2021
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A due passi va via Toledo, a Napoli, c’è la Banca dell’Acqua di piazza Trieste e Trento. Questa è la più antica Banca dell’Acqua ancora in attività nel capoluogo partenopeo. Vediamo un po’ di storia per capire l’importanza di questi luoghi per i napoletano. Marina Brancato, antropologa dell’Università L’Orientate di Napoli, dice: “Agli inizi del ‘700 nasce il mestiere dell’acquafrescaio, che porterà qualche decennio più tardi alla formazione delle banche dell’acqua”. Nel ‘700 l’acqua fresca era un lusso per pochi. Fino all’arrivo degli acquafrescai, venditori ambulanti di acqua che giravano in particolare nelle aree di mercato. La loro merce era un bel bicchiere di acqua fresca.

Ancora Brancato: “Gli acquafrescai tenevano l’acqua all’interno di anfore di creta chiamate ‘mummare’ che, con una particolare chiusura stagna, riuscivano a mantenere l’acqua fresca per una decina di ore anche quando le temperature erano torride”. Un secolo circa prima che anche gli acquaroli si adeguassero ai tempi.”Il mutamento culturale legato al mestiere dell’acquafrescaio ha di fatto seguito il mutamento nella grammatica spaziale della città di Napoli. A un certo punto, i venditori di acqua iniziarono a diventare stanziali costruendo delle postazioni in cui vendere l’acqua”.

Nascono così le Banche d’acqua: “Ce n’era una in ogni rione e ognuna di esse rappresentava un punto di riferimento per gli abitanti”. Diventando fissi, gli acquafrescai iniziarono a vendere anche l’acqua annevata, rinfrescata con blocchi di ghiaccio, l’acqua addirosa, aromatizzata al vino, e l’acqua ferrata, di origine vulcanica, dal sapore di ferro.

Antonio Guerra, insieme alla sorella Carolina, gestisce la Banca dell’Acqua di piazza Trieste e Trento, esistente dal 1836. Dice: “All’epoca seppure esistevano tanti tipi di acqua, quella che si vendeva era pur sempre acqua. La prendevano dalla sorgente del Monte Echia che all’epoca era ancora attiva. Poi un giorno, chissà a chi, venne l’idea di aggiungere a quell’acqua già buona del succo di limone e un po’ di bicarbonato di sodio. Creando quella che oggi si chiama la gassosa a cosce aperte”. Prende il nome dalla posizione che bisogna assumere per poterla buttar giù senza sporcarsi: “Quando inserisco il bicarbonato nell’acqua e limone, tutto il liquido comincia a eruttare e tu per non sporcarti devi portarti avanti con il busto e aprire le cosce”.

Marina Brancato aggiunge: “Il mestiere dell’acquafrescaio è uno di quelli che meglio ha saputo resistere ai cambiamenti perché meglio si è adattato a essi”. E ancora: “Il mestiere dell’acquafrescaio è strettamente collegato con la classe popolare. Oggi si stenta a crederlo, ma la possibilità di acquistare una Banca dell’acqua o riceverla in eredità e diventare l’acquafrescaio di quartiere era una grande conquista. Per questo forse oggi l’acquafrescaio e i suoi clienti sono ancora legati alle classi sociali più popolari, più autentiche e più interessate a conservare le tradizioni”.

Tags: Banche dell'AcquaCampaniaCDEARTICLEnapoli
Alessandro Pignatelli

Alessandro Pignatelli

Giornalista professionista e scrittore, amante della carta stampata come del mondo digitale. Ho lavorato per agenzie stampa e siti internet, imparando nel mio percorso professionale a essere tempestivo, preciso, ma anche ad approfondire con vere e proprie inchieste. Con i new media e i social, ho inserito nel mio curriculum anche concetti come SEO, keyword, motori di ricerca, posizionamento.

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