Non è stato di certo un esercizio inutile: la Conferenza regionale dell’economia e del lavoro (Crel), dedicata a “Umbria – Economia e sociale alla prova della pandemia, è stata una fucina di idee e di speranza. Una parte importante l’ha avuta l’assessore Michele FIORONI, che ha portato il discorso sulla sfida del valore. Ecco alcuni brani del suo intervento.
“Ci troviamo di fronte ad una regione con una serie storica molto lunga di
criticità. Nel 2019 il Pil unitario prodotto in Umbria è stato del 12 per
cento in meno del valore nazionale. L’Umbria ha avuto un andamento delle
performance economiche inferiore al dato aggregato del Mezzogiorno
d’Italia. Tutti gli studi ci mostrano una progressiva perdita di Pil.
L’Umbria è una regione che di fatto sta scivolando, come performance,
verso il sud con un piccolo, ulteriore elemento di criticità: mentre nel sud
sono attivi una serie di strumenti finanziari, le regioni del Centro non sono
dotate di strumenti, sia nel Pnrr che nella programmazione nazionale, che
possano consentire l’attivazione di nuove economie e di nuove filiere. Il
rischio che l’Italia di mezzo, di cui l’Umbria rappresenta la maglia
nera, possa essere fuori da certe traiettorie di sviluppo, desta
preoccupazione. Per questo nel Pnrr regionale e nelle interlocuzioni con il
Governo abbiamo cercato di alzare l’asticella della proposta progettuale
dell’Umbria, chiamata a recuperare il Pil perso attraverso nuova economia,
confrontandosi con le sue debolezze strutturali. Oggi l’Umbria è chiamata
ad individuare nuove prospettive di crescita. Uno dei fattori di debolezza è
proprio il posizionamento lungo le catene globali del lavoro e del valore.
Alcune nostre aziende e cluster, in questo momento, con mercati in condizioni di criticità, vanno sostenuti anche in processi di riconversione temporanea, ma soprattutto nella capacità di produrre prodotti innovativi e più performanti. Quindi bisogna continuare a sostenere la ricerca. La debolezza è legata alla produttività che si accompagna ad un’alta intensità del lavoro. Le politiche passate hanno portato ad incrementare l’occupazione in alcuni settori senza migliorare il rendimento dei fattori della produzione.
Su questo la Regione si è mossa con dotazioni finanziarie, mai viste in precedenza, a supporto degli investimenti delle imprese. Sono state messe in campo misure che rappresentano quasi una sfida, soprattutto nel settore delle pmi, e le risorse che a fine programmazione riusciremo a trovare le metteremo a supporto del piano di investimenti in essere, che ha riguardato due pilastri: la ricerca e sviluppo, quindi innovazione, traendo valore dalla proprietà intellettuale, ed un sistema che sia in grado di produrre attraverso nuove tecnologie più connesse e più legate al trend dell’economia attuale.
Abbiamo previsto risorse per 15 milioni di euro su ricerca e sviluppo, 25
milioni sulla digitalizzazione, Impresa 4.0. Abbiamo cercato di alzare
l’asticella rispetto al passato cercando di individuare nei bandi anche
nuove metriche per la ricerca e lo sviluppo con riscontri di breve periodo.
Uno degli obiettivi è quello di creare rapporti tra grandi imprese e pmi
innovative, start up come accade nel mondo. Dal bando sono arrivate 115
richieste di collaborazione da attivare con Università, pmi e start up. Il
tutto in una debolezza strutturale dell’Umbria di valorizzare la proprietà
intellettuale. L’ultimo dato disponibile sulla registrazione di brevetti
EPO di Monaco sono solo 26, quint’ultimi a livello italiano e quindi
dobbiamo sostenere questa capacità. Dati più confortevoli arrivano dal tema del digitale che vede comunque l’Italia quart’ultima sia per competenze che per transizione digitale della Pa e delle imprese. Nel digitale abbiamo qualche performance rincuorante (Umbria al quinto posto per copertura a banda larga). In questo caso siamo sopra alla media nazionale, seppure va ancora completato il processo. Serve costruire una strategia per le start up e lo stiamo facendo in un programma che verrà presentato ufficialmente nel corso della prossima settimana. Questo non vuol dire privatizzare il mercato del lavoro, ma prevedere la possibilità di stipulare convenzioni con organismi accreditati per affiancare i Centri per l’impiego che rimarranno gli unici soggetti abilitati. Abbiamo deliberato la scorsa settimana un piano di potenziamento dei Centri per l’impiego con 103 unità. Abbiamo iniziato a lavorare sulla costituzione di una task force per la gestione delle crisi d’impresa cercando una maggiore collaborazione tra Gepafin, Sviluppumbria ed Arpal. Abbiamo anche previsto, nella revisione della legge istitutiva di Arpal, la costituzione di un osservatorio regionale sul lavoro che consentirà di rilevare i fabbisogni formativi. L’Umbria, in questo momento ha bisogno della sfida, non possiamo pensare che questi interventi siano sufficienti, noi dovremo cercare di attivare nuova economia riposizionandoci in maniera più forte lungo le filiere e le catene del valore, cercando di integrare filiere regionali. L’Umbria sente il bisogno di riposizionare l’intero sistema economico lungo la catena del valore, che favorisca lo sviluppo di specializzazioni verticali coerenti con le traiettorie di linee guida del sistema Paese. Riteniamo che l’Umbria può
specializzarsi in alcuni ambiti evitando sovrapposizioni con attività fatte
da altre regioni. Ritagliandosi quindi un ruolo definito in una strategia
nazionale, magari facendo dell’Umbria la terra dei materiali di domani,
innovativi e sostenibili. Al centro del Pnrr c’è la sfida della bio
economia che abbiamo fortemente individuato nel rilancio del polo chimico di Terni, con la possibilità di attivare filiere integrate nell’ambito della
bio economia secondo l’approccio rigenerativo e circolare, che preveda
integrazione tra filiere agricole e della chimica e modelli di
specializzazione verticale rivolto al mondo della bio economia. Stiamo
cercando di attivare sul territorio, attraverso la sfida del Pnrr, della
nuova programmazione comunitaria, ma anche presentando al Governo progetti credibili, un nuovo modello economico e una nuova economia. Rispetto alla patrimonializzazione delle imprese, il covid ha rappresentato un fattore che ha stressato non solo quelle già in difficoltà, ma anche aziende più in salute. Dobbiamo quindi lavorare per trovare misure di rafforzamento patrimoniale. Per questo, anche con il sistema del credito abbiamo una interlocuzione costante per cercare di sviluppare strumenti di finanza innovativa che possano supportare i cammini di crescita delle aziende con misure specifiche di patrimonializzazione”.
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