Chi ha pagato le peggiori conseguenze lavorative a causa della pandemia? I giovani, i contratti a termine e apprendistato, i livelli di istruzione più bassi, le attività considerate non essenziali. Lo scrive l’Aur, l’Agenzia Umbria Ricerche.
Gli occupati in Umbria erano 356.400 nel 2020 contro i 363 mila del 2019. Ma le ore lavorate, per esempio, sono calate molto di più del numero degli occupati, il che ha generato meno reddito. Il blocco dei licenziamenti ha poi falsato la reale portata dei contraccolpi dovuti alla pandemia. Come detto all’inizio, a essere tagliate fuori dal mondo del lavoro sono state le forme contrattuali più vulnerabili. In Umbria, a differenza che in Italia, a essere penalizzato particolarmente è stato il mondo degli occupati maschi, mentre sul fronte femminile ha interessato solo chi aveva meno di 35 anni. L’Umbria si è distinta per un aumento del lavoro autonomo maschile con contratto a tempo pieno e del lavoro dipendente maschile part time, del lavoro dipendente femminile a tempo pieno.
Dal 2019 al 2020 la regione ha perso quasi 6.500 occupati, -1,8 per cento, così suddivisi: ,19 per cento maschi, -1,7 per cento femmine. Inalterato il tasso di femminilizzazione del lavoro (42 per cento). In Italia il calo è stato del 2 per cento, colpendo di più le donne (2,5 per cento contro 1,5 per cento). Come per il nazionale (-1,8 per cento contro -1,7 per cento), l’Umbria ha perso 5 mila lavoratori dipendenti, con maggioranza uomini. Per il lavoro autonomo, la diminuzione è stata dell’1,7 per cento contro il 2,9 per cento nazionale, si sono persi 1.500 occupati, in pratica tutte donne, mentre c’è stato un ampliamento della platea maschile. Per quel che riguarda il lavoro subordinato, colpiti esclusivamente i contratti a termine, più in Umbria che in Italia (-17,6 per cento e -12,8 per cento rispettivamente); nel 2020, quindi, 8.800 dipendenti con contratti a termine hanno perso il lavoro.
Le donne in questo caso sono state le più penalizzate (-18,1 contro -17,2 per cento maschile). La perdita di 4.200 dipendenti assunte con contratti temporanei è stata però bilanciata da una crescita di oltre 3 mila tempi indeterminati (-0,8 per cento dunque la contrazione di unità femminili subordinate). Tra gli uomini (-2,8 per cento), abbiamo avuto 4.500 contratti a termine in meno, 700 contratti in più a tempo indeterminato.
Il lavoro a tempo indeterminato è cresciuto più in Umbria che in Italia (+1,7 e +0,6 per cento), soprattutto per l’assunzione di personale femminile (3.800 unità in più, quasi tutte donne). Il tasso di crescita è superiore rispetto a quello italiano per le donne (+2,8 contro +0,3 per cento nazionale). Nel 2020 è diminuito il part time, -5 per cento in Umbria, -4,6 per cento in Italia. Nei tempi pieni, invece, abbiamo avuto un -0,9 umbro contro un -1,3 per cento italiano. L’Umbria ha perso 3.700 contratti part time e più di 2.700 a tempo pieno. L’emorragia occupazionale maschile ha coinvolto i tempi pieni (-2 contro -1,3 per cento nazionale), mentre è rimasto praticamente invariato il numero dei part time (+0,1 per cento in Umbria, -3,7 per cento in Italia). Per le donne, si contano 2.700 unità in meno part time e 1.600 unità a tempo pieno in più. Il part time nei rapporti di lavoro alle dipendenze pesa tra gli uomini del 9,7 per cento e tra le donne del 35,6 per cento.
Sul fronte del lavoro autonomo, la fuoriuscita di posizioni maschili part time (-30%, a fronte del -3,5% nazionale) è stata recuperata con un aumento dei tempi pieni, in controtendenza rispetto a quanto occorso in Italia. Il lavoro autonomo femminile scende tra i profili full time (-2,7% a fronte di -4,8% nazionale) e ancor di più tra i part time (-14,8%, contro -4,8%).
In Umbria hanno perso il lavoro 6.600 under 35, equamente ripartiti tra uomini e donne questa volta. Più o meno lo stesso numero di Neet nella stessa fascia d’età (+25 per cento in Umbria contro il 5 per cento in Italia). I numeri sono allarmanti: la diminuzione di occupati under 35 nella regione ha superato quello degli occupati totali.
Nello specifico, l’emorragia tra i 25-34enni ha superato le 5 mila unità, un po’ più donne che uomini, per un tasso di caduta praticamente doppio rispetto a quello nazionale: per ogni 10 occupati in meno, in Umbria 8 sono giovani di questa età (meno di 4 in Italia), con pesanti ripercussioni sui tassi di occupazione, sia maschile che femminile. In questo caso, il calo delle occupate totali eguaglia quello subito dalle 25-34enni.
Tra le donne, hanno perso il lavoro soprattutto le giovani, più che i coetanei regionali e le coetanee nazionali. Sono state risparmiate le donne più grandi. La fascia centrale dei 35-54enni, segnata a livello nazionale da tassi di caduta femminili più elevati della media, vede una decurtazione (di 4 mila unità) quasi tutta al maschile. Da questo punto di vista, si può pensare che l’impiego pubblico – che nella regione presenta un grado di femminilizzazione superiore a quello nazionale (61% contro 58% nel 2019) – possa aver contribuito a tamponare la crisi del mercato lavorativo laddove più presente. Ciò che il lavoro locale ha perso tra le persone mature lo ha recuperato tra i più anziani, in particolare gli ultra 64enni che, calati in Italia, in Umbria hanno guadagnato oltre mille occupati, quasi tutte donne. Prosegue dunque l’invecchiamento del mercato del lavoro, soprattutto in Umbria più che in Italia.
Il futuro? Si prevede maggiore flessibilità. Come dire che il mercato del lavoro recupererà, ma per sentieri diversi da quelli a noi conosciuti maggiormente.