La pandemia ha messo in evidenza la debolezza del welfare italiano. Motivo? Il sotto finanziamento del sistema sanitario nazionale e della rete di servizi educativi e sociali, la presenza di diseguaglianze territoriali per risorse, prestazioni e servizi, il forte squilibrio tra risorse destinate al welfare a favore dei trasferimenti monetari piuttosto che al finanziamento dei servizi.
Nei prossimi anni il welfare cambierà. Ma come? Agenzia Umbria Ricerche ha provato a fare delle riflessioni in merito analizzando tre fattori: il rapporto tra pubblico e privato, il rapporto tra Stato e Regioni, il ruolo della collaborazione.
Il covid ha reso evidenti le debolezze del sistema pubblico, i suoi limiti. Ma ha anche alimentato la richiesta di un intervento maggiore da parte della politica pubblica. La risposta di quest’ultima è stata l’assunzione di medici, infermieri e operatori socio sanitari nelle strutture sanitarie pubbliche. Da 20 anni a questa parte, però, il ruolo del pubblico nel comparto sociale e sanitario è risultato ridimensionato: è cresciuta la spesa privata da parte delle famiglie, sono diventati sempre più forti i player assicurativi; dall’altro lato è cresciuto il peso dei privati for profit in ambito sanitario e delle organizzazioni non profit in quello sociale. Chiaro quindi che il rapporto tra pubblico e privato vada ripensato. Bisognerebbe creare un ambiente in cui operino con pari dignità realtà pubbliche, imprese private e organizzazioni del terzo settore, con funzioni diverse. Vanno per esempio potenziati i servizi territoriali così come l’integrazione socio sanitaria.
Va rivisto anche il rapporto Stato e Regioni. L’epidemia è stata affrontata con evidenti limiti nello scarso coordinamento tra Governo e enti locali. È la nostra organizzazioni territoriale a provocare in parte questo, con la grande autonomia che hanno le Regioni in ambito sociale e sanitario. Sono così venuti alla luce 22 modelli diversi di welfare, che hanno ampliato le diseguaglianze territoriali. Bisognerebbe porsi l’obiettivo di ridurle, partendo dalla definizione e dall’adeguato finanziamento sia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) che dei Lep (Livelli essenziali di prestazioni).
Infine, sempre il covid ha posto in evidenza il valore strategico di collaborazione e coinvolgimento attivo dei cittadini per garantire la tutela della salute. La comunità, in questi mesi, è stata chiamata a collaborare in modo responsabile. Bisogna dunque ripensare i servizi sociali e sanitari, magari coinvolgendo in ruoli attivi proprio i cittadini, sperimentando su larga scala forme di coproduzione dei servizi di welfare; rivedere il rapporto tra amministrazioni pubbliche e terzo settore, mettendo al centro il principio di sussidiarietà e collaborazione e non di concorrenza e competizione.
Sono importanti le novità introdotte dal Codice del terzo settore e da una sentenza della Corte Costituzionale: sono stati riconosciuti e rafforzati gli strumenti di coprogrammazione e coprogettazione perché “favoriscono l’instaurazione di un canale di amministrazione condivisa alternativo a quello del profitto e del mercato”.