Un solo criterio per aperture e chiusure: la Confcommercio lo richiede ai Prefetti ed ai sindaci dell’Umbria.

“Alle incertezze, le chiusure eccessive e i ritardi di programmazione nel contrasto alla pandemia, che pesano come macigni su tutte le imprese italiane, si aggiungono in Umbria le ingiustificate difformità di trattamento che subiscono alcune imprese situate in Comuni diversi e a volte addirittura nello stesso Comune. Per questo – dice il presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni -chiediamo ai Prefetti una interpretazione univoca della normativa nazionale e ai Comuni umbri una attuazione di questa normativa che superi le situazioni di gravi iniquità che attualmente ci sono”.
Il nodo della questione riguarda le attività presenti nei centri commerciali, costrette alla chiusura dalle misure governative, e le aggregazioni commerciali con caratteristiche simili, che invece continuano ad essere aperte, nonostante l’ultimo decreto del governo ponga tutte queste strutture sulla stessa linea.
“Le ulteriori restrizioni del decreto Natale rischiano ormai di cancellare del tutto una fetta importante delle nostre imprese, che avrebbero potuto restare aperte, nel rispetto assoluto delle disposizioni di distanziamento e sicurezza che hanno messo in campo da tempo e imparato ad utilizzare da quasi un anno.
Noi pensiamo, insomma, che il problema del contagio non sia imputabile al commercio, e che le ultime restrizioni abbiamo prodotto un risultato contrario rispetto a quello auspicato, per il fatto di aver costretto la gente a concentrare i propri acquisti in pochi giorni piuttosto che in un arco temporale più lungo.
Questa situazione già di per sé difficilissima – sottolinea con forza il presidente di Confcommercio – in Umbria è appesantita da una grave difformità di interpretazione delle norme, che ci risulta davvero inaccettabile.
Il nostro appello nasce proprio dalla necessità di rappresentare alle istituzioni, alle quali chiediamo di intervenire in tempi rapidissimi, quella che le imprese stanno vivendo come una nuova, incomprensibile ingiustizia”.

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