Salvador (Api): “Nuovo fermo sarà bastonata a pescicoltura”

Pier Antonio Salvador, presidente dell’Api, l’Associazione Piscicoltori italiani, racconta in esclusiva la situazione del settore dopo il primo lockdown e all’inizio del nuovo, mini lockdown. “Nel settore Horeca, durante il primo, eravamo praticamente bloccati. Purtroppo, con il nuovo fermo, supponiamo di ricevere una nuova bastonata. Pure per quel che riguarda le esportazioni, con il blocco degli altri Paesi le cose non vanno bene. Ora è il turno della Polonia, per esempio. Quella che tira è la Gdo perché la gente è più propensa ad acquistare locale e nazionale, ma vuole che il package sia sicuro. Prova una certa diffidenza senza le dovute precauzioni. Abbiamo qualche problema sulla logistica e, tornando al Gdo, loro stanno abbassando un po’ i prezzi. In compenso, dai nostri sondaggi, pare ci sia un +8 per cento di persone che vogliono mangiare pesce”.

Se l’altro lockdown “è stato un disastro”, questa volta “speriamo di organizzarci un po’ meglio. La Gdo, per esempio, sta operando con il delivery”.

Fatta 100 per cento la produzione, così incidono i vari comparti sul settore della piscicoltura: “L’Horeca è al 30-35 per cento, la pesca sportiva è al 20 per cento, le esportazioni rappresentano un altro 20 per cento, la Gdo è al 20-25 per cento”. L’Italia è particolarmente forte a livello europeo e mondiale per quanto riguarda il caviale e le trote. Salvador spiega: “Produciamo 50 tonnellate di caviale, siamo secondi dopo la Cina; delle 50, ne esportiamo 45. Abbiamo avuto alcune problematiche a causa dei voli, fermi. Per quel che riguarda le trote, riusciamo a esportare il 30 per cento della produzione, che è di circa 10 mila tonnellate. Le trote finiscono quasi tutti nel Nordest d’Europa, Austria e Germania in particolare. Ma l’Italia è molto brava anche nella produzione di spigole, orate e avannotti: ne esportiamo 90-100 milioni”.

Quello che vediamo a tavola è troppo spesso pesce che proviene dall’estero: “Importiamo il 70-75 per cento del prodotto ittico che consumiamo. Importiamo l’85 per cento di spigole e orate, per l’Europa siamo il primo Paese di sbocco. Del restante 25 per cento di pesce che mangiamo, il 15 per cento proviene dalla pesca e il 10 per cento dall’acquacoltura nostrana. Nel totale, al mondo, l’acquacoltura fornisce il 55 per cento del prodotto e ha ormai superato la pesca”. Sui ristoranti, il presidente ha qualcosa da dire: “Attenzione perché diranno che l’orata è sicuramente italiana, invece il 99 per cento l’acquisterà dall’estero e da acquacoltura, non da pesca. E’ per questo motivo che chiediamo con forza che anche il pesce sia tracciabile nell’horeca: al momento c’è solo il documento di accompagnamento, che però non arriva al consumatore. Sapere che paghi 30 euro un’orata che arriva magari da un Paese extraeuropeo, ti farebbe probabilmente rifiutare e chiederne una che proviene da un allevamento itaiano. L’Europa non si preoccupa più di tanto di dare informazione. E’ invece fondamentale per il consumatore che si reca al ristorante o alla mensa, sapere se ciò che mangia è importato, italiano, europeo o extraeuropeo”.

In Italia, il problema nasce da lontano. Pur essendo il Paese del mare, “l’aggravio burocratrico per acquistare una licenza da pesca è una vergogna. Ci vuole moltissimo tempo, ci sono 24 ufficili da contattare. Le beghe burocratiche creano un sovrapprezzo del 10-15 per cento. E niente hanno a che vedere con la sicurezza alimentare. Alla fine, in questo modo, ci buttano fuori mercato. E acquistiamo straniero, il cui prodotto niente ha a che vedere con il nostro”.

Gli associati all’Api sono “al 75 per cento micro o imprese familiari. Dipende com’è strutturata l’azienda, come vende, a chi vede. Ultimamente, i cambiamenti climatici, la pressione burocratica e il covid hanno un po’ sballato i parametri”. I soci sono circa 250 imprese, per 7-800 impianti: “Associamo il 90 per cento della produzione in acqua dolce, salmastra e salata. In gran parte facciamo pesce, ma abbiamo anche i molluschi. Gli addetti sono 8-10 mila; l’acquacoltura, per ogni addetto in allevamento ne produce due-tre di esterni. Siamo un sindacato, proponiamo leggi, siamo agganciati all’Associazione europea. Facciamo anche training, cerchiamo di capire le esigenze delle aziende associate. Collaboriamo con la Fao che serve per dare stimoli ai nostri e per esportare il nostro know-how associativo verso le acquacolture mediterranee emergenti. La nostra associazione ha 60 anni circa. Il nostro compito è tradurre gli input di scienza e politica in parole e concetti semplici per chi lavora in allevamento”.

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