Mazzoni (Istituto di tutela del vino marchigiano): “Ciò che è stato perso nel lockdown non si recupera”

Dal 1999, nelle Marche, esiste l’Istituto di tutela del vino marchigiano. Da allora, il direttore è Alberto Mazzoni. Che spiega com’è nato e si è sviluppato l’ente privato: “In quel 1999, 18 produttori intelligenti decisero che era venuto il momento di andare in posti dove non si poteva andare, metaforicamente parlando. Oggi i produttori iscritti sono 485”.

Una crescita costante, dunque, che rende l’Istituto un punto di riferimento nel settore enologico: “Quest’anno stiamo assistendo a una buona vendemmia, con punte di eccellenza. Abbiamo avuto poca pioggia in inverno, ma per fortuna è arrivata successivamente. Non abbiamo riscontrato malattie dell’uva, io ho personalmente assaggiato un vino sano e dal buon sapore. La raccolta sarà nella media degli ultimi cinque anni”.

Racconta: “Abbiamo avuto un 2017 scarico a causa della siccità, nel 2018 è tornato il segno ‘più’. Questa vendemmia non basterà a coprire i valori scarsi del 2017, questo bisogna dirlo. Ma la resa uva – vino del 2020 è molto interessante. Il fattore negativo è dato dal clima settembrino, caldo come se fosse agosto, che ha accelerato la vendemmia e ha bruciato gli acidi. Questa non è una bella cosa. Proprio a causa della maturazione precoce dell’uva, si sta accelerando la vendemmia”.

Il lockdown, il fermo di quattro mesi, non ha inciso sull’agricoltura per fortuna: “E’ l’unico settore che ha continuato a lavorare. Le viti sono state coccolate, concimate e trattate come al solito. Il problema c’è stato sulla vendita di vino e questa è una perdita che nessuno potrà recuperare. Solo la grande distribuzione ha avuto forti introiti durante il lockdown. Ma dobbiamo capire che su 540 aziende produttrici nelle Marche, appena 26 fanno Gdo. Il 5 per cento horeca secco. Restano esteri e vendita diretta. Fino a marzo, l’export è stato superiore del 20 per cento, poi le esportazioni si sono rarefatte, da maggio c’è stata una ripresa. Ma, ripeto, ciò che è stato perso non si recupera”.

Le Marche “sono una regione agricola. Siamo metalmezzadri, è rimasto l’affetto per la terra. La viticoltura è rimasta sempre diffusa e, insieme al grano, porta avanti l’economia regionale. Con il lockdown il turismo si è spostato sull’agricoltura, sulla produzione zero, sulla stagionalità dei prodotti. Queste aziende hanno quindi avuto una crescita esponenziale. Si è riscoperto il cibo e si sono riscoperti i sapori di una volta. Tanti sono stati i turisti italiani che son venuti nelle Marche e hanno apprezzato non le solite cose, ma la cultura e la cucina. Il vino in questo senso ha avuto un ruolo primario, tante sono state le degustazioni in aziende”.

Ci sono, insomma, fattori positivi e altri negativi secondo Alberto Mazzoni. C’è l’agricoltura, c’è la viticoltura che hanno permesso alla regione di conoscere un periodo di vacche grasse proprio quando il resto dell’economia ha sofferto gli effetti del coronavirus, ma c’è la parte del commercio (di vino, e non solo) che invece ha dovuto alzare bandiera bianca. In attesa di una ripartenza.

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