Domenico Tolomeo: “Bisognava dare più fiducia al popolo italiano, invece di chiuderlo in casa a suon di multe”

La Ripartenza… cosa si sente di dirci su questa fase, così tanto attesa?

“Non la considero una ripartenza, a mio avviso abbiamo perso tre mesi. Il popolo italiano avrebbe meritato più fiducia. Ognuno di noi sa bene cosa può fare e cosa no, invece di proibire il tutto a suon di multe: le sanzioni vanno applicate quando un individuo trasgredisce la legge. Seppur abbiamo vissuto un momento complicato a livello sanitario, le persone potevano continuare lo stesso a svolgere il proprio lavoro in massima sicurezza”.

Ritiene che i protocolli previsti per la ripartenza in sicurezza siano funzionali? Cosa suggerirebbe?

“Sono state applicate tante restrizioni che purtroppo non sono state spiegate adeguatamente alla popolazione e ora ci troviamo in totale caos sui protocolli da rispettare: basta vedere la confusione totale che c’è sull’argomento mascherine. Molti le indossano, magari sempre la stessa e pure sporca, e nonostante ciò si sentono sicuri, quando invece le mascherine, come mi ha confidato un professore di chimica, vanno sapute mettere e anche scegliere. Non sono tutte uguali. Sarebbe servito più dialogo tra lo Stato e i componenti dei vari settori. Mi dispiace dirlo, ma in altri Paesi sono stati più lineari nel confrontarsi con il popolo. Da noi questo non è accaduto”.

Quali timori sente, quali progetti?

“Essendo un libero professionista, non mi posso lamentare di come è andato il mio anno lavorativo. Se penso, invece, all’economia del Paese sono abbastanza preoccupato. La mia paura è quella che tra tre mesi l’Italia possa andare incontro a seri problemi. Inoltre credo che bisogna un attimo rivedere alcune norme basilari che stanno opprimendo chi ha della attività commerciali, altrimenti molte attività non potranno più supportare i costi d’impresa. Sotto un punto di vista sanitario, non ho grandi timori. Ho fatto un’esperienza lavorativa per tre anni dentro un laboratorio molto particolare: ho imparato molte cose, infatti, non prendo un’influenza da quattordici anni, perché ho imparato delle regole basilari, che nessuno ci spiega. Toccarsi con le mani gli occhi è estremamente pericoloso”.

Quali pensieri vorrebbe condividere con i suoi colleghi del settore?

“Ai miei colleghi del settore dico di non considerare questa fase come il post-guerra o come una crisi normale. Bisogna considerare questa fase della nostra vita come una cosa inaspettata: un po’ come se fossero scesi i marziani sulla terra”.

Sentiamo dire “Ce la faremo”: lei concluderebbe con un punto esclamativo o con quello interrogativo?

“Non sopporto questa frase (ride, ndr) come la parola Resilienza, che vuole dire una cosa completamente diversa da quella che molti credono. Ce la faremo è una frase paternalistica. Noi italiano andiamo a slogan, per questo in altri Paesi ci vedono male. Io più che ce la faremo direi: “Stiamo vicini”. Comunque a parte questo rispondo con diciotto punti interrogativi. Sono convinto che ce la possiamo fare, ma non dipende solo dal popolo”.

La sua speranza più luminosa per questa seconda parte del 2020?

“A me stesso auguro di poter convincere con la mia visione, che poi non è la mia ma di persone che ne sanno molto di più del sottoscritto, alcuni dei miei interlocutori attraverso il mio lavoro. Poi mi auguro che l’Italia non sprechi l’occasione di cambiare, anche a livello politico. Basta con il discorso di colori e di partiti. Abbiamo bisogno di persone vere e capaci su tutti i fronti. Mi auguro che Bonaccini e Zaia, due persone politiche completamente opposte, ma in gamba, possano rappresentare il futuro dell’Italia, dialogando tra loro, come hanno fatto nell’emergenza Covid-19”.

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