Ritiene le misure di contenimento pandemico adeguate? Cosa suggerirebbe?
“Sì, ritengo adeguate le misure prese a livello sanitario, più problematiche quelle economiche”.
Come vede il suo futuro?
“Noi siamo ottimisti, abbiamo sempre lavorato bene e quando si riprenderà pensiamo di tornare alla normalità, sia pure gradualmente”.
Quali timori, quali progetti?
“Il progetto primario riguarda la salute, prima di tutto. Dal punto di vista economico, la speranza è una ripresa collettiva. Noi in questo momento viviamo alla giornata, tanti voli pindarici non se ne possono fare. Magari tra una settimana i contagi risalgono e siamo costretti a nuovi passi indietro. Abbiamo cercato dunque di modificare il tipo di attività, stiamo facendo asporto e consegne a domicilio per la prima volta. L’impegno è tanto, sotto certi aspetti è anche un ridimensionamento per una attività a conduzione familiare”.
Cosa direbbe ai suoi colleghi del settore?
“Resistere. Chi ha la fortuna di stare nel commercio da anni e ha messo qualcosa da parte, ce la fa. Chi era in difficoltà già prima, ora soffre. Noi siamo aperti da 25 anni e non sono due mesi di inattività che possono costringerci a chiudere. Certo, se questo periodo si prolungasse, allora il rischio ci sarebbe”.
La critica più forte che si sente di fare?
“Lo Stato dovrebbe dare una mano immediata alle aziende con iniezioni di liquidità. Io ho messo il personale in Cassa Integrazione ma nessuno di loro ha ancora ricevuto niente”.
La speranza più luminosa?
“Che ci sia buona salute per tutti, dunque che il virus sparisca al più presto. L’economia verrebbe di conseguenza, la gente uscirebbe di nuovo e tutto passerebbe. Devo dire che in giro sento tanta voglia di ripartenza ma bisogna anche essere pronti. Mi riferisco non tanto alle attività, quanto ai clienti che sono disorientati. Uno può anche riaprire, ma se in giro c’è paura non viene nessuno. Intanto però pensiamo a dare un segnale”.
