Imposta di soggiorno, cos’è e come calcolarla

Tassa di soggiorno

In Italia, la tassa e il suo relativo importo vengono stabiliti direttamente dal Comune di riferimento, che dunque ha facoltà di scelta in tal senso.  Decide infatti se aderire o meno all’applicazione della tasse e in che modalità. Basti pensare infatti che alcune città italiane applicano la tassa solo per alcuni tipi di alberghi, o solo in un determinato periodo dell’anno.

Questo a fronte del fatto che trattasi di imposta non obbligatoria, ma che viene adottata a discrezione dell’amministrazione comunale.

Cos’è e come funziona l’imposta di soggiorno

Il Decreto n.23/2011 con la novità del federalismo fiscale in Italia aveva introdotto altresì la facoltà per i comuni di applicare una tassa ai turisti che pernottano alberghi, hotel, b&b, campeggi, eccetera.

I turisti sono cioè costretti a pagare un tot al giorno per persona alla struttura ospitante che in seguito girerà alle casse comunali.

È il comune che decide dunque quanto, quando e come far pagare, potendo anche stabilire se incassare la tassa solo per alcuni giorni e non per tutta la durata del soggiorno. Non a caso Roma richiede un euro al giorno solo per 5 giorni in caso di strutture.

La tassa di soggiorno serve a permettere il finanziamento di interventi turistici nella località di riferimento. Laddove con interventi si intende manutenzione, ristrutturazione e controllo di beni culturali ed ambientali, nonché fruizione dei servizi pubblici locali.

Il Decreto Crescita e l’imposta di soggiorno

Con il Decreto Crescita, il Governo ha intensificato la portata di questa tassa, dando ai Comuni un nuovo mezzo di lotta all’evasione dell’imposta di soggiorno.

Più nello specifico, le amministrazioni locali possono effettuare un controllo sul pagamento emesso dai turisti, per avere ben chiaro quale sia poi il versamento che le strutture alberghiere devono fare alle casse comunali.

Il Decreto Crescita ha altresì stabilito quali dati debbano essere girati dalle questure all’Agenzia Dell’Entrate, così che essi siano poi consultabili dal Comune.

Negli anni sono nati vari programmi che aiutano i comuni a gestire le entrate dovute alla tassa di soggiorno. Tra i più completi ad esempio possiamo citare PayTourist, strumento di comunicazione innovativo tra il mondo ricettivo e la Pubblica Amministrazione. Il software oltre alla gestione delle imposte turistiche riunifica tutti gli adempimenti per le strutture ricettive.

Attualmente l’imposta di soggiorno ha preso piede presso numerose località e il numero delle stesse cresce sempre più.

La novità più corposa inerisce però all’aumento della tassa di soggiorno in alcuni comuni. Se fino ad oggi l’importo massimo è stato di 5 euro, con il nuovo anno, la somma potrà raggiungere anche i 10 euro (somme che aumentano per i comuni che hanno flusso di turisti più alto di 20 volte rispetto ai residenti).

Chi paga la tassa di soggiorno e chi è esente?

Hanno l’obbligo di pagare l’imposta di soggiorno tutti i turisti che soggiornano in una struttura alberghiera residente in Comuni che hanno aderito alla tassa, eccezion fatta per gli ostelli della gioventù.

Anche se il viaggio è stato prenotato tramite agenzia e tour operator, sussiste egualmente l’obbligo.

Viceversa, sono esenti a versare l’imposta tutti coloro che risiedono in quel comune, nonché i disabili e i bambini fino ai 10 anni (in alcuni comuni anche fino a 14 anni).

Non pagano altresì coloro che accompagnano le persone disabili, i malati, il personale delle Forze Armate, gli autisti di pullman e gli accompagnatori turistici.

Per richiedere l’esenzione da parte dei malati ci si deve munire di una certificazione medica che provi la condizione di malattia. Nel documento vanno indicate anche le tempistiche di riferimento delle prestazioni sanitarie o del ricovero.

Circa l’accompagnatore va presentata una dichiarazione ulteriore in cui si dimostra che il soggiorno presso la struttura sia finalizzato all’assistenza sanitaria nei riguardi del soggetto degente.

Le città in cui si versa la tassa di soggiorno

Quando il Decreto n.23/2011 è entrato in vigore erano appena una decina i Comuni che avevano deciso di aderire alla tassa di soggiorno.

Tuttavia le esigenze locali hanno spinto molti sindaci ad introdurre nella propria amministrazione l’imposta, in quanto essa non va ad incidere sui cittadini bensì sui vacanzieri. Non a caso, ad oggi, a distanza di nove anni si contano migliaia di comuni che applicano l’imposta, per un gettito fiscale che sfiora i 600 milioni di euro.

Volendo fare un excursus delle città in cui il valore dell’imposta di soggiorno è più alta, in Italia la capitale si classifica prima, seguita da Venezia, Firenze e Milano.

A Roma infatti, a titolo esemplificativo, una famiglia composta di marito, moglie e figlio con più di 10 anni, in un hotel a 3 stelle per 3 giorni (in periodi di alta stagione) paga 24 euro. A Venezia ne paga circa 17,50, a Firenze 14 euro e a Milano 12. Napoli è quella che forse costa meno, con appena 6 euro.

Tuttavia ci sono città al Sud che hanno dei tariffari da capogiro. Tipico esempio è dato da Palermo, che richiede un’imposta di 50 centesimi a notte per un albergo con 1 stella. Arriva a chiedere anche più di tre euro a notte per le strutture più lussuose.

 

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