Graziano Marini: “L’Arte è curiosità che deve incoraggiare e trasmettere gioia”

Graziano Marini

Graziano Marini, importante esponente umbro dell’arte contemporanea, ha rilasciato in esclusiva per il Corriere dell’Economia un’intervista a tutto campo approfondendo la propria visione dell’arte.

Maestro grazie per aver accettato questa intervista. Inizierei subito con il chiederle che cosa significa per lei fare arte?

Da sempre considero la parola “Arte” come un sinonimo di “Curiosità”, un interesse intrinseco per ciò che si realizza con le mani, creando un rapporto indissolubile tra l’estetica, la creatività e la forza dell’immagine. L’arte è da sempre insita in ognuno di noi, dipende dall’individuo prenderne coscienza e svilupparla secondo la propria curiosità e il proprio substrato culturale. Oggi spesso si confonde la vera arte con qualcosa che somiglia all’arte ma che non ha nulla a che fare con essa: il nostro compito è quello di riconoscere ciò che è Arte separandolo da ciò che gli somiglia. Io ho avuto la fortuna di affrontare proprio questo tema con i Maestri più grandi di me, con i quali ho potuto condividere il mio pensiero: credo che, in fondo, la mia concezione di Arte dipenda molto da quella che è ed è stata la mia formazione culturale e ideologica.

Nella sua formazione artistica ha potuto conoscere e frequentare grandi nomi del mondo dell’arte quali quello di Piero Dorazio, il suo Maestro dove ha potuto toccare con mano il fervore artistico del Novecento. Cosa ha appreso durante quel periodo durato circa 10 anni e quali ricchezze custodisce ancora oggi?

Io ho avuto la fortuna e la caparbietà di seguire la mia strada di Artista, perseguendo sempre quello che era un mio sogno sin dalla più tenera età. Per questo motivo da giovane mi recavo negli studi degli artisti sì mostrando i miei lavori, ma cercando principalmente di carpire i segreti del loro lavoro: come usavano i colori, di quali supporti si avvalevano, di come affrontavano l’inizio di una nuova opera, in poche parole di come si approcciavano all’arte. Nel mio cammino ho incontrato anche Piero Dorazio, un artista maturo e ideologicamente affermato, considerato tra i Maestri d’arte più rappresentativi del secondo dopoguerra. Sin da subito sono stato messo a mio agio presso la sua bottega, venendo trattato come un suo pari e non come un giovane privo di esperienza. Questo è uno dei grandi insegnamenti che ho appreso da lui come dagli altri Maestri che ho incontrato nella mia formazione: loro sapevano considerarti alla pari e non, come accade oggi ai giovani artisti, come persone impreparate sprovviste di metodo e forza creativa. I Maestri del secolo scorso sapevano incoraggiarti con il loro modo di fare, spronandoti a lavorare bene e migliorando le proprie attitudini. Dopo il mio lavoro nel suo studio, con Pietro Dorazio siamo rimasti amici per tutta la vita, confrontandoci e firmando anche alcuni lavori realizzati a quattro mani. È stato per me un vero Maestro che ha saputo trasmettermi il mestiere in modo preciso e puntuale, proprio come si faceva nell’antichità a bottega dai grandi artisti del tempo. Ovviamente non è stato l’unico grande Maestro che ho conosciuto e frequentato, ma ci sono stati altri esimi colleghi quali Emilio Vedova, Luigi Veronesi, Giuseppe Santomaso, Max Bill, Sebastian Matta, Kenneth Noland, Antoni Tapies solo per citarne alcuni. Lavorare e frequentare questi artisti mi ha permesso di imparare l’arte in modo “diretto” e non diventando artista per emulazione, cosa che accade oggi a chi apprende l’arte in modo “indiretto”, lontano dagli atelier dei Maestri d’Arte.

Lei che sostiene con forza e tenacia i giovani artisti, cosa vorrebbe dire a tutti coloro che decidono di intraprendere un percorso artistico, ma che spesso vengono scoraggiati dalla società che li circonda per il futuro difficile e incerto che li potrebbe attendere? E ai curatori, invece, quali consigli vorrebbe dare?

Personalmente credo che un artista vada sempre incoraggiato, sia se giovane che meno giovane. Spesso chi si avvicina a questo mondo per la prima volta mi chiede come si riesce a vendere le proprie opere: la mia risposta non può che essere che le opere prima vanno realizzate poi si pensa alla vendita delle stesse. Le opere d’arte non devono essere create per una mostra o per essere vendute ma per dare voce al proprio spirito creativo, alla propria interiorità; quindi prima si crea poi si pensa ad esporre o vendere. Scegliere di fare l’artista, si sa, è un mestiere altamente rischioso che richiede una grande responsabilità personale. Per Mark Rothko, infatti, “l’arte è un’avventura in un mondo sconosciuto, che può essere esplorato soltanto da coloro che vogliono rischiare” e io non posso che condividere questo pensiero. Se un artista lavora bene e riesce a vivere del frutto del suo lavoro creativo non può che considerarsi fortunato, avendo raggiunto il massimo delle sue aspirazioni. Certo la finalità è vendere per mantenersi con il proprio lavoro ma chi sceglie di fare l’artista lo fa perché crede nella sua scelta e da ascolto al proprio io interiore: chi sceglie l’arte intraprende il viaggio nel bello assumendosi tutte le responsabilità del caso e, qualora non dovesse riuscire a vendere o a mantenersi economicamente, continua a perseguire la sua strada di artista.
Ai curatori che si trovano a dover promuovere e valorizzare l’arte, non posso che suggerire di continuare ad essere degli storici dell’arte e non dei critici, in quanto il critico impone la propria teoria, il proprio punto di vista su una determinata opera; spetta al visitatore, invece, capire l’artista e lasciarsi travolgere dalla sua forza espressiva e comunicativa. Spesso mi si chiede cosa convenga comprare. Io a questa domanda non posso che rispondere che l’arte non deve essere speculazione ma emozione: si compra ciò che piace e ciò che suscita un sentimento. In questo campo i collezionisti italiani e stranieri si comportano in modo diverso tra loro: se il primo acquista per vantaggio il secondo lo fa per messaggio; è una differenziazione culturale, di formazione che porta i due soggetti a comportarsi in modo opposto difronte ad un’opera d’arte. Manca quella giusta didattica che porta ad avere un grado culturale elevato: personalmente credo che l’Istruzione sia da riformare in quanto bisogna preoccuparsi di creare una nuova generazione di cittadini che sappia comprendere e difendere il valore della propria cultura come identità. E in questo aiuta avvicinarsi all’arte in quanto l’arte fa pensare e non deve scandalizzare perché serve a dare voce alla propria interiorità, deve trasmettere gioia e deve essere di incoraggiamento per l’uomo. In questo gli impressionisti sono stati dei rivoluzionari in quanto hanno liberato il racconto e l’arte è iniziata ad essere vista come gioia, divertimento, allegria.

Grazie Maestro per aver risposto alle mie domande, sono certo che molti artisti, piò o meno giovani, sapranno trarre ispirazione dalle sue parole.

Grazie a lei per avermi permesso di esprimere il mio pensiero sull’arte.

Articoli correlati

Bisognerà attendere almeno un anno per vedere i fondi del Recovery Plan: ne sono convinte...

Matteo Bartolini, CIa Umbria

Cia – Agricoltori italiani dell’Umbria tira le somme del 2020, con le aziende agricole associate...

In Umbria ci sono più di 173 mila over 70. L’Umbria è la terza regione...

Altre notizie

Altre notizie