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Paradisi fiscali dei tropici. Ma non solo. Molte nazioni, anche della Ue, attuano politiche di attrazione delle multinazionali abbassando la tassa sui profitti

di Marcello Guerrieri
13/12/2016
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Il problema dei “paradisi fiscali” rischia di affossare addirittura l’economia dell’Europa, creando difficoltà alle nazioni più deboli: troppo facile prendervi una residenza, senza nemmeno avere l’obbligo di un dipendente, nascondendosi dietro una targa ed un ufficio di avvocati. Tutto questo per avere delle imposizione sugli utili quasi a zero, senza ritenute alla fonte, operazioni che garantiscono un certo grado di opacità.
La mancanza di omogeneizzazione delle imposizioni fiscali sta così mettendo le nazioni europee su piani diversi, molte delle quali sono impegnate ad attrarre le multinazionali coi loro pingui guadagni. Lo spiega dettagliatamente Oxfam, un network internazionale di diciassette organizzazioni di paesi diversi che lottano per ottenere un maggior impatto nella lotta alla povertà e all’ingiustizia, che mette le Bermude al vertice della piramide dei paradisi fiscali, isole che sono vicinissime alla costa della Florida e per questo molto facili da raggiungere. Lo stesso discorso , o quasi, vale per le isole Cayman e qualche isola sperduta come le Mauritius. All’Italia preoccupa molto di più la capacità di avere un fisco “variabile” per dire così, di nazioni comunitarie come i Paesi Bassi, l’Irlanda, il Lussemburgo, Cipro, che riescono a fornire in maniera vantaggiosa sedi e tassazioni. Non si spiegherebbe altrimenti lo spostamento della sede sociale della Fiat proprio in Olanda. Secondo Oxan all’interno delle nazioni esaminate vi sono ottanta miliardi di profitti, più di quelli di Cina, Francia, Giappone e Germania messe insieme, profitti che non genereranno tassazioni a favore del popolo e delle persone in difficoltà. Sempre a leggere il rapporto Oxan nemmeno la Svizzera scherza nell’attirare multinazionali nel proprio territorio.
La richiesta italiana ai tavoli dell’Europa è sempre quella di superare le tassazioni separate perché i profitti siano, come logica, la base per lo sviluppo dell’area ed evitare che ci sia qualcuno più “furbo” degli altri. Ma a questa richiesta fatta da Germania ed Italia in primis in molti hanno fatto orecchie da mercante. Si era cercato di smantellare alcuni dei “paradisi fiscali” nel mondo compilando una lista nera, nella quale finiva chi non forniva importanti informazioni sui depositi. Passi da gigante sono stati fatti ma ora si dovrebbe passare al secondo livello quello della considerazione delle pratiche fiscali nocive, comprese le aliquote fiscali sui redditi delle imprese non residenti.

Ma rimane sul tavolo la richiesta del potenziamento delle norme per evitare che le multinazionali residenti nei paesi dell’Unione poi facciano affari poco chiari con le loro controllate nei paradisi fiscali, con la conseguente abolizione degli incentivi allo spostamento delle società.

Tags: Bahamasisole CaymanParadisi Fiscali
Marcello Guerrieri

Marcello Guerrieri

Esercita la professione di giornalista da oltre trent’anni: ha esordito con la cronaca locale per la redazione ternana de il Messaggero, per la quale ha anche curato, per un lungo periodo, pure gli aspetti sindacali ed economici delle aziende della provincia di Terni. Collabora tuttora col giornale romano. Ha seguito sin dall’inizio, l’evoluzione dei nuovi media, curando numerosi siti come quello di “Terninrete”

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